copertina libroCreatività, ispirazione, sogni, duro lavoro, superamento delle paure personali costituiscono i temi di questo libro. Elisabeth Gilbert (Waterbury, 1969) è una scrittrice statunitense e dunque i suoi consigli riguardano principalmente la scrittura e l'attività dello scrittore. Tuttavia possono rivelarsi proficui anche per chi svolge o si accinge a svolgere qualsiasi altro lavoro. In generale la Gilbert suggerisce al lettore il giusto atteggiamento - quello che lei ritiene il giusto atteggiamento - da tenere nei confronti dell'esistenza.

Abbiamo tutti il dovere di portare alla luce i tesori nascosti che custodiamo dentro di noi. Per farlo occorre coraggio. Per condurre un'esistenza creativa - che non significa necessariamente mietere successi mondani - occorre agire sotto la spinta della curiosità, anziché della paura. Senza diventare però degli irresponsabili impavidi. Comunque vada, qualsiasi risultato si raggiunga, anche minimo, "una vita creativa è una vita amplificata". Una vita contrassegnata dalla bellezza, dalla gioia e dalla trascendenza.

L'autrice crede in un mondo autonomo abitato dalle idee. Le idee ci vengono a visitare e noi, se lo riteniamo opportuno, dobbiamo accoglierle, prima che sia troppo tardi e se ne vadano. Affinché le idee vengano a farci visita, serve mantenere la mente aperta, curiosa, ricettiva. Per lasciare briglia sciolta alla creatività sarebbe bene abbandonare una mentalità troppo ristretta e mondana, fondata sul successo o il fallimento, sul vincere o perdere, sul confronto, sul mercato, sulla reputazione, sulle copie di libri vendute. Non curarsi delle aspettative proprie e altrui, non trasformarsi nel monumento di se stessi, non cedere all' autoesaltazione dell'ego. Abbandonare l'idea di essere un genio, ma accettare la prospettiva che, nell'atto creativo, un genio si esprime attraverso di noi, un genio dispettoso che può talvolta abbandonarci, per poi ritornare imprevedibilmente. Genio o non genio, è comunque compito dello scrittore lavorare con costanza. L'ispirazione è uno stato di grazia che agisce a intermittenza, va e viene.

La Gilbert invita i suoi lettori a non chiedere l’autorizzazione di nessuno per vivere una vita creativa. Non c’è bisogno di frequentare scuole di scrittura creativa per trovare la propria voce ed elaborare uno stile personale. Naturalmente ognuno si regola poi come meglio sente e crede. Non c’è bisogno di avere idee particolarmente originali per mettersi alla scrivania. Non abbiamo bisogno di titoli accademici per darci l’autorizzazione di seguire la nostra ispirazione:

“dal 1901 sono dodici gli scrittori americani che hanno vinto il Nobel per la letteratura, nessuno dei quali in possesso di una specializzazione. Quattro di loro non hanno neanche finito le superiori”.

La Gilbert dà poi ai lettori e aspiranti artisti un consiglio pragmatico, ispirato alla concretezza. Seguire le passioni -sottolinea - va bene, ma bisogna procurarsi il denaro per pagare affitto, cibo e bollette. Perciò il primo compito di ciascuno di noi è cercarsi un lavoro che ci dia di che vivere. La creatività e l’arte spesso non dant panem, per cui è bene coltivarle per quanto possibile nel tempo che ci rimane libero dal lavoro principale, "ufficiale".

"Avere un lavoro non è mica un disonore. Disonorevole è mettere in fuga la creatività chiedendole di mantenervi".
In fondo è sempre stato così: la maggior parte degli scrittori ha composto le proprie opere nello stretto tempo che rimaneva loro dopo aver svolto un’altra attività remunerativa. La stessa Gilbert, prima di affermarsi come scrittrice, confessa di aver fatto la cameriera, la barista, la ragazza alla pari, la tuttofare in un ranch, la cuoca, la commessa in una libreria, oltre ad aver dato ripetizioni e fatto l’insegnante.

Non c'è un limite di età per cominciare a coltivare la propria vena creativa, alimentare le proprie curiosità, soddisfare la sete di conoscenza. Si può iniziare a 80 anni e anche oltre, finché c'è vita.

Del lavoro creativo è necessario saper accettare le inevitabili frustrazioni, rifiuti, disagi, mancanza di riconoscimento. La perseveranza è una virtù che la persona creativa deve coltivare. Lavorare, "farsi il mazzo", provare e riprovare, insistere. Occorre invece guardarsi dal perfezionismo, che è una maschera della paura. E bisogna schivare anche il timore del giudizio degli altri: hanno altro da fare, per esempio occuparsi dei propri problemi, piuttosto che pensare continuamente a noi.

Meglio comunque fare che fare bene. E nell'attività creativa non si può confidare più di tanto nel successo. Esercitarsi in un'attività creativa è già una ricompensa di per sé. Difficilmente però si fa carriera.

La Gilbert non concorda con quegli intellettuali anche illustri che collegano il processo creativo al dolore, alla sofferenza, al tormento. Per lei la creazione è principalmente gioia, entusiasmo. Il dolore impedisce di creare. Quello dell’"Artista Tormentato" è un mito da cui tenersi alla larga. L’importante è creare - ribadisce l'autrice - non dandosi troppa pena per i risultati. Preservando la propria anima dall'avidità di riconoscimenti del proprio ego.

E, su queste ultime note “positive thinking” della Gilbert, che sembrano escludere l’elemento “tragico” dell’esistenza e sulle quali un po' dissento - amo l'Artista Tormentato - concludo la recensione di un libro per molti versi interessante, ricco di aneddoti autobiografici e utile non soltanto per gli aspiranti scrittori ma per tutti coloro che intendono condurre un’esistenza costruttiva e carica di significato.