
Nata negli Stati Uniti, sviluppata soprattutto in Francia, esiste una tecnica specifica che si occupa di migliorare il benessere fisico e psichico delle persone attraverso l'uso della lettura: la biblioterapia. Molti studi scientifici ne hanno comprovato l'efficacia in un numero notevole e variegato di condizioni.
Secondo una definizione ricavata dal dizionario Webster (1961) “la biblioterapia è l’utilizzo di un insieme di letture scelte quali strumenti terapeutici in medicina e in psichiatria. E un mezzo per risolvere dei problemi personali mediante una lettura guidata”.
Mentre la medicina scientifica ha come paradigma la riparazione di un cartesiano corpo-macchina, la biblioterapia si rivolge alla cura della nostra componente emotiva e spirituale, sottolineando la valenza riparatrice della lettura meditata dei grandi testi. La poesia ci può calmare, un'opera letteraria ci può rigenerare. Gli stessi medici, sicuramente quelli più illuminati, considerano la parola uno strumento terapeutico al pari di un farmaco. Almeno in taluni quadri patologici.
"Noi ci capiamo soltanto grazie alla grande scappatoia dei segni dell’umanità depositati nelle opere di cultura" scrive Ricoeur. La comprensione del racconto produce, pagina dopo pagina, nuove interpretazioni con le quali ricostruiamo il mondo che ci circonda. Il ruolo della lettura in ambito ospedaliero o presso gruppi sociali in difficoltà è perciò fondamentale.
La lettura dovrebbe diventare per ciascuno di noi un'abitudine quotidiana, uno stile di vita. Per Foucault bisognerebbe consacrare ogni giorno un momento alla "coltivazione di sé". Seneca, Epitteto, Marco Aurelio hanno tutti e tre accennato a questi momenti in cui occorre guardare se stessi. Per non perdere la padronanza di sé di fronte alle cose che possono capitare, dice Foucault, abbiamo bisogno di discorsi veri e ragionevoli, che Plutarco paragona (ancora una volta!) a farmaci. In questo esercizio incessante di lettura e rilettura delle citazioni scelte, la copiatura diviene essenziale. Infatti ricopiare significa favorire la memorizzazione. Spesso bisogna scrivere una frase per meglio nutrirsi dei suoi principi attivi. Importante è comunque che il libro ci scuota.
Ne discende la necessità di connettere biblioterapia e laboratorio di scrittura, biblioterapia e laboratorio di grafia. Consigliabile sarebbe riappropriarsi della scrittura a mano, del contatto vivo con la carta. Bisogna che la biblioterapia desti delle vocazioni, non di calligrafi, ma di diaristi che mostrino le loro citazioni e i loro brani e che li copino.
Le neuroscienze confermano che la lettura è un'attività per nulla passiva, ma comporta un dispendio notevole di energie, provoca continue microcontrazioni muscolari, ad imitazione delle azioni di cui si legge sulle pagine. Una faccenda complicata di neuroni specchio. Il nostro sistema nervoso, inoltre, durante la lettura libera endorfine che permettono di migliorare l’umore e di limitare il dolore. A livello neurofisiologico, gli effetti positivi della lettura ad alta voce sono simili a quelli del canto. Leggere, poi, coinvolge tutti i sensi: la vista, la mano, l’udito, l’olfatto.
Leggere ci consente di resistere all'esclusione e all’oppressione. Nel suo saggio Elogio della lettura, l’antropologa Michèle Petit afferma che leggere è un mezzo per "riconquistare una dignità di soggetto, invece di essere solo oggetto dei discorsi altrui". Leggere un libro significa leggere se stessi. Sta all'intuito del biblioterapeuta, al termine di approfonditi colloqui, individuare le pagine adatte al "lettore", che gli permettano di ristabilire un contatto con la sua vita interiore, sospesa e bloccata dalla sofferenza psichica.
Leggere o scrivere è terapeutico in sé. E spesso raccontare i propri mali serve ad alleviarli. La sintassi e l'ordine del racconto riorganizzano l’esperienza umana. Per lo psichiatra infantile René Diaktine, la fiaba, letta o raccontata al bambino, possidede virtù magiche utili a sopportare meglio il buio e la separazione dai genitori, la paura di perderli e la paura di morire.
Le parole che leggiamo non hanno un fine in sé, ma in noi, E’ proprio la loro vita che i lettori devono configurare. Nessuna autorità può controllare totalmente il modo in cui leggiamo, capiamo e interpretiamo un testo. Il lavoro del biblioterapeuta è semplicemente quello di spingere il suo lettore a diventare lettore di se stesso.
Leggere è un esercizio di concentrazione, così necessario nella nostra epoca di futilità e distrazioni continue. Abitua all'attenzione verso chi parla e a ciò che sta succedendo. L'incontro con un libro, come e forse di più di quello con una persona in carne e ossa, comporta sempre un margine di rischio.
Leggere innesca un processo di affermazione di sé che è essenziale per tutti. Nel bambino per sviluppare la costruzione della sua identità e della sua personalità. Nel soggetto anziano per preservare la sua autonomia e la sua dignità. In casa di riposo, la lettura porta la conoscenza e uno sguardo nuovo, stimola un appetito che non si affievolisce con l’invecchiamento, perché conoscere e imparare cose nuove è un desiderio che non muore mai.
Di più, la lettura libera l'anziano dal peso del tempo, ravviva la memoria e il ricordo, autorizza un andirivieni festoso e continuo fra passato, presente e futuro. Secondo Paul Ricoeur, possiamo capire noi stessi soltanto attraverso i segni di umanità depositati nelle opere di cultura. Tutto ciò che sappiamo dell’amore o dell’odio, o dei sentimenti etici, ci è stato in primo luogo portato dal linguaggio e articolato dalla letteratura.
I libri esistono anche per alleviare la sofferenza del malato terminale e accompagnare la persona in fin di vita, quando la ricerca di un significato è ancora più disperata.
Il libro cura la vita. L’arte procura piacere. A patto naturalmente che ci si dedichi a letture autenticamente nutrienti, evitando quelle che Michel Serres chiama "libri bianchi... pagine vuote, prive di senso, indeterminate, puro contenitore". La lettura è una cura, ma non compete ai medici. Il biblioterapeuta affianca l'operato del medico, ma sarebbe un grave errore consegnare la biblioterapia ai dottori. Essa compete maggiormente agli insegnanti, ai letterati, agli animatori. E - si badi bene - il libro che cura non è necessariamente la grande opera di narrativa o di poesia, ma può appartenere spesso alla saggistica di qualità.
"Il ruolo del biblioterapeuta - conclude Regine Detambel, l'autrice dell'eccellente saggio di cui stiamo trattando - non è niente di meno che quello di aiutare il paziente-lettore a raggiungere una sorta di maturità. Mi capita molto spesso di dimenticare dei crucci o addirittura delle angosce nello studio tranquillo degli antichi greci e dei romani. Quelli che taluni ritengono dei tremendi 'mattoni' sono soprattutto straordinarie rivelazioni, capovolgimenti, demolizione metodica di tutti quegli scenari hollywoodiani, dunque stereotipati, che continuano a sciupare e appiattire il nostro passato e, pertanto, la nostra idea del mondo e di noi stessi".
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Regine Detambel è nata nel 1963. Ha iniziato la sua vita lavorativa come kinesiologa. Dal 1990 ha iniziato a scrivere e ha pubblicato saggi e romanzi. Organizza corsi di biblioterapia creativa nel suo studio, nelle scuole, negli ospedali, nelle biblioteche. Vive ed esercita le sue diverse professioni nella regione di Montpellier.
sitografia:
www.biblioterapia.it