
Per sbrigare alcune pratiche supplementari l'avvocato, diventato assistente di giudice, assume un quarto copista: Bartleby. Così lo descrive:
In risposta a una mia inserzione, un giovanotto dall'aria immobile si presentò una mattina sulla soglia del mio ufficio, la cui porta era aperta, essendo estate. Rivedo ancor oggi quella figura smorta nella sua compostezza, penosa nella sua rispettabilità, incurabilmente desolata! Era Bartleby. Dopo qualche parola sulle sue qualifiche, lo assunsi, lieto d'avere nel mio gruppo un uomo dall’aspetto così straordinariamente posato (...)Inizialmente il nuovo impiegato, pallido e magro, attende alle sue occupazioni con diligenza, ma al terzo giorno di lavoro, alla richiesta del suo superiore di sbrigare una certa pratica, che consiste nel controllare la correttezza di un documento, Bartleby risponde “Preferirei di no”. E così continua a rispondere, inflessibilmente, nei giorni successivi.
Egli non accetta ingiunzioni, preghiere, esortazioni alla ragionevolezza, ma pronuncia il suo
“Preferirei di no” senza mostrare “la minima irrequietezza, irritazione, impazienza o impertinenza”.
“La sua decisione” appare “irrevocabile”.
Il rifiuto di Bartleby fa vacillare le certezze del vecchio avvocato, lo rende perplesso, lo porta a interrogarsi sulle motivazioni di quello strano comportamento.
L'avvocato è turbato e nello stesso tempo oscilla fra il tentativo di comprendere e giustificare Bartleby,
che mette in atto la sua disdicevole condotta in modo forse involontario e
l'irritazione per un atteggiamento che il buon senso e le consuetudini ritengono inaccettabile.
A parte la cocciutaggine con cui rifiuta determinate mansioni, Bartleby è un uomo onesto e frugale. Non esce mai dall'ufficio, non si concede divertimenti, campa di biscotti allo zenzero, è un impiegato laborioso e tranquillo.
Un certo giorno Bartleby
decide di astenersi da qualsiasi attività richiesta e lo
comunica al principale, che si vede costretto a licenziarlo, pur
promettendo di aiutarlo nella sua vita futura. Ma il copista, nonostante il denaro generosamente offertogli, si rifiuta di abbandonare il suo posto. Traslocare risulta allora l'unica soluzione percorribile dal suo principale per liberarsi dell'ormai sgradito collaboratore.
Nel frattempo lo scrivano continua a frequentare il vecchio ufficio, scatenando le ire del nuovo locatario, del proprietario e degli inquilini dello stabile.
Nell'estremo tentativo di smuoverlo, il suo vecchio principale
gli propone occupazioni di suo maggiore gradimento. Bartleby si dichiara per nulla schizzinoso, ma afferma di non voler attuare alcun cambiamento
nelle sue abitudini.
La polizia lo arresta e lo conduce in carcere. Poco tempo dopo,
nonostante i ripetuti tentativi dell’anziano avvocato di
sostenerlo, Bartleby si lascia morire di consunzione.
Pubblicato per la prima volta nel 1853 sulla rivista Putnam, Bartleby lo scrivano è un racconto suggestivo, ricco di simboli, che dialoga direttamente con il nostro inconscio. Bizzarro, inquietante, assurdo, enigmatico, imperscrutabile, trovo Bartleby uno dei personaggi più affascinanti della letteratura universale. Non manca l'humour in questo racconto che mischia il comico al tragico. E che si apre a molteplici interpretazioni.
Con la sua resistenza passiva e ostinata Bartleby sembra opporsi all’ideologia
produttivistica del capitalismo trionfante, alla logica dell’efficienza e della prestazione, al materialismo che ormai permea la mentalità americana. Non a caso l'ufficio in cui lavora è situato a Wall Street, quello che diventerà il cuore pulsante del potere economico-finanziario mondiale.
Ridotto a puro ruolo, a mera funzione che mortifica nella routine la sua umanità, Bartleby si ribella e mette in atto una muta
e forse inconsapevole protesta non-violenta
Isolato, preda della solitudine, senza alcun rapporto affettivo
che lo leghi al resto dell'umanità, quasi schizoide, Bertleby
sembra rappresentare l'alienazione prodotta dalla società
industriale. E anticipa, pur riscattandosi con il suo rifiuto,
l'uomo-massa, anonimo e disarmato componente della "folla
solitaria", così ben descritto dalla sociologia del Novecento.
Completano il volume altri quattro racconti molto ben scritti, connotati dalla ammirevole sottigliezza psicologica dell'autore. Ne
Il violinista, un musicista un tempo acclamato dalle folle, il quarantenne
Hautboy, ha perso la fama, ma non il talento. E, soprattutto ha saputo conservare il buonumore e la gioia di vivere.
In Jimmy Rose si assiste alla caduta in disgrazia di un uomo pieno di qualità, bello, vitale e facoltoso che, tuttavia, anche nella fase di umiliante declino riesce a mantenere una sua irriducibile dignità.
In Io e il mio camino si parla del rapporto tra un uomo filosoficamente ozioso e tranquillo e il camino della sua casa, che egli considera quasi un'entità vivente e a lui superiore e alla quale tributa cura e ammirazione. Sullo sfondo un rapporto familiare conflittuale con una moglie troppo vivace, energica e giovanilista, infatuata delle nuove idee. Ad un certo punto si proietta sul camino un alone di sinistro mistero, forse un macabro segreto che esso custodisce, legato alla figura di un illustre antenato.
Ne Il tavolo di melo un vecchio tavolino, proveniente da una soffitta disabitata da anni, viene restaurato e usato in salotto per farvi colazione e per leggere. Ne esce un racconto pieno dei brividi della magia e dello spiritismo, fino allo smascheramento “scientifico” dell'arcano e alla risoluzione della tensione.
Nato a New York nel 1819, Herman Melville, reso famoso dal romanzo Moby Dick, è unanimemente considerato uno degli scrittori più importanti della letteratura moderna.