Manlio Cancogni, Azorin e Mirò, Fazi, 1996
N a r r a t i v a |
![]() Azorin e Mirò rifuggono dai luoghi comuni e dalla retorica, nella vita come nella scelta dei libri. Detestano la letteratura inautentica, i libri dove "tutto è falso", dove prevale l'esibizione di "passioni artificiali, inesistenti". La verità è per loro qualcosa di speciale, che abita nel cuore degli uomini e nella loro memoria.
Insieme mettono a punto una poetica che definiscono del sub-liminare:
L'amicizia tra Azorin e Mirò procede fra incontri quotidiani, conversazioni, passeggiate, continue scoperte di affinità emotive e spirituali. Azorin, più vanitoso e "immaginoso", subisce un giorno il fascino letterario di T, in realtà un agente provocatore e si fa coinvolgere dalla politica, sino ad allora profondamente aborrita. Firma un manifesto contro la dittatura e per tale azione viene arrestato e recluso. Finché Mirò, sapendolo estraneo agli intrighi politici, non lo fa liberare, con l'aiuto di un magistrato, del cui figlio è amico. La trama della loro amicizia pian piano si ricompone. Un bel giorno Mirò si sposa e i due amici sono costretti a separarsi.
Il matrimonio, felice, nella casa di campagna lasciatagli dai genitori,
spegne in Mirò ogni ambizione letteraria. Quando si incontrano finalmente di nuovo, tra i due amici cala l'imbarazzo, il disagio, l'indifferenza, l'estraneità. Morta la moglie di Mirò, i due scrittori si riconciliano e si ritrovano a vivere insieme nel grande appartamento di Azorin. Ormai vecchi, ripensando agli anni della giovinezza e all'entusiasmo per "la loro esperienza sub-liminare", concludono:
Scritto a Firenze nel 1943 e pubblicato nel 1948 sulla rivista
"Botteghe Oscure", il romanzo breve Azorin e Mirò di
Manlio Cancogni narra la storia di una delicata e spirituale amicizia.
Riconoscibili i motivi autobiografici, che richiamano inequivocabilmente
l'inimitabile, giovanile rapporto tra l'autore e lo scrittore Carlo
Cassola.
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Pagina aggiornata il 31.08.10 |