Uno
dei pochi intellettuali rimasti nel desolante panorama italiano,
Ernesto Galli della Loggia (Roma, 1942), dedica un saggio alla scuola. O più
propriamente un pamphlet in cui se la prende con le
disfunzioni dell'istituzione scolastica. Secondo l'opinione
dello storico e saggista romano, la scuola italiana sta andando
alla deriva a causa di una serie di riforme sciagurate, per il
venir meno del principio di autorità, per la mancanza di
disciplina e merito, per il primato della formazione e dell’educazione sull'istruzione, la conoscenza e lo studio, per lo straripare di fumose teorie pedagogiche che animano le incomprensibili e ampollose circolari ministeriali.
L'editorialista del Corriere della Sera se la prende con una scuola del fare e dell'utile, prona alle esigenze del mondo produttivo, che, privilegiando la cultura tecnico-scientifica, sta relegando in un angolo la cultura umanistica, solido fondamento identitario delle generazioni precedenti. A tal proposito il noto professore manifesta una irriducibile quanto inesplicabile insofferenza per il pragmatico learning by doing, formula così frequente nel discorso pedagogico contemporaneo.
Per l'autore la crisi, che non risparmia nemmeno le istituzioni scolastiche di altri Paesi, risale da noi almeno agli anni Settanta e quindi la colpa del declino non è certo dovuta al ministro-filosofo Gentile, cui invece la vulgata mainstream attribuisce ogni responsabilità in merito al malfunzionamento dell'istituzione scolastica. Il quale Gentile, al contrario, aveva progettato una scuola che esaltava lo spirito critico individuale, avversata dallo stesso partito fascista.
Il peccato originale è stato invece aver fatto proprio, in
parte travisandolo, il mito dell'autenticità, della spontaneità, dell'essere se stessi esaltato nell'Emilio di Rousseau, invece di
educare alla necessità di aderire a un modello virtuoso e al rispetto di regole prestabilite.
Galli della Loggia se la prende poi con la retorica della “Costituzione più bella del mondo”, trasformata in feticcio intoccabile, con la svolta digitale dell'insegnamento e della società e con il “donmilanismo”, la scuola democratica che livella in basso gli studenti, il mito del successo formativo per tutti, il terzomondismo imperante.
Se la lettura del libro dell’accademico romano è piacevole in virtù dello stile brillante e caustico con cui tratta la materia, se le critiche che muove alla scuola possono apparire debitamente argomentate e almeno in parte fondate, Galli della Loggia, anche se lo nega, appare tuttavia sostanzialmente un laudator temporis acti, in definitiva un poco convincente nostalgico di un passato idealizzato e la scuola che egli propone appare al lettore un modello (fortunatamente) superato.
Egli critica il modernismo della scuola attuale, invocando una sorta di retromarcia. Tuttavia l'impressione è che la modernizzazione della scuola italiana - al contrario di quanto sostiene l’autore - non si sia realizzata pienamente. Forse è venuto il momento di portare a compimento il processo e soprattutto i tempi sono maturi per aprirsi a nuove forme di educazione scolastica e a nuove modalità di apprendimento e di trasmissione del sapere, più aderenti all’epoca in cui viviamo.