copertina libroQuando una persona comune pensa a uno psichiatra, pensa a un professionista che detiene tutte le chiavi per accedere ai segreti della mente, che sa in ogni occasione distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, che conosce tutte le risposte. Uno insomma da invidiare, visto che i processi e gli accadimenti dell’esistenza gli sono chiari ed inequivocabili. La maggior parte di noi, me compreso, pensa (o ha pensato in passato) che la psichiatria sia un corpo di conoscenze complesso e articolato, il cui possesso garantisca una sorta di immunità esistenziale.

Paolo Milone (Genova, 1954), invece, in questo suo suggestivo libro, ci dimostra che non è così. Demistifica l’aura di infallibilità scientifica che circonda la professione. Il lavoro e l’esistenza stessa dello psichiatra si svolgono all’insegna del dubbio, dell’incertezza, nella lotta quotidiana dall'esito tutt'altro che scontato con la cosiddetta malattia mentale. Come molte altre branche della medicina, la psichiatria è principalmente un'arte.

Depressi, euforici, schizofrenici, paranoici, caratteriali, isterici, nevrotici, bipolari, tossicomani sfilano nel racconto dello psichiatra genovese, si alternano nelle loro gesta sconcertanti e talvolta imprevedibili. Certo il lettore (che sarei poi io) rimane un po’ turbato da tutte queste etichette generalizzatrici. Viene da pensare che ogni malato sia unico, non bollabile senza appello, non incasellabile in un’arida e astratta categoria nosologica. Ma tant’è: Milone mi direbbe che ho la presunzione di spiegare la psichiatria gli psichiatri!

D'altronde all'autore si potranno muovere molti appunti, ma di certo non gli si può lanciare l’accusa di mancare di umanità. Il libro trasuda umanità da tutti i pori. Esibisce in ogni rigo vita vissuta e vulnerabilità che non risparmiano nessuno. Per Milone la malattia mentale esiste. Misteriosa ed enigmatica essa comporta una intensa sofferenza. E la cura farmacologica è importante: sono stati i farmaci e non le ideologie a permettere la chiusura dei manicomi.

Lo psichiatra autore del libro in oggetto qualche volta sembra scivolare nel cinismo e nello scetticismo circa le possibilità di cura, offerte dalla psicologia e dalle psicoterapie, psicoanalisi compresa. “la parola è impotente in Psichiatria. [...] La parola è paglia” e ancora “Io odio la psicoanalisi. [...] io non so nulla di interpretazione dei sogni. Non è il mio mestiere. I miei pazienti non parlano dei loro sogni notturni, ci vivono dentro”).

Secondo Milone la psicologia si rifugia troppo spesso nella ricerca di un colpevole a tutti i costi, spingendo le persone verso una interminabile e pericolosa ribellione adolescenziale:

“I genitori sono i colpevoli migliori, ma vanno pure bene: i fratelli, i cugini, i nonni, gli amici, il marito, il capoufficio, l’amante, il cane, l’ostetrica, la maestra d’asilo, la suocera, i vicini, i compagni del nido d’infanzia, i colleghi, l’idraulico, Dio, i politici, il tempo atmosferico. Trovato il colpevole, basta ribellarsi[...]. Eliminato il colpevole [...] scoprire ciò che ci piace di più e farlo, senza indugio. [...] Poi, se qualcosa non funziona, basta trovare un altro colpevole, e via!”

Eppure con i pazienti lo psichiatra autore del libro cerca sempre un colloquio, uno scambio umano, una relazione, un tentativo di comprensione, un incontro fondato sull’autenticità. La concentrazione e l’ascolto verso il malato sono sempre vivi. Egli ritrae i pazienti nelle loro miserie e nei loro splendori, ma altrettanto fa con gli infermieri, i colleghi e persino, forse soprattutto, con se stesso, mettendo a nudo inciampi, smarrimenti, contraddizioni, inadeguatezze, delusioni, fragilità, possibili errori, tormentosi sensi di colpa.

L’autore ci fornisce un ritratto realistico, privo di abbellimenti, della psichiatria d’urgenza in particolare e della vita ospedaliera in generale. Ci restituisce un’atmosfera fatta di rumori, odori, concitazioni, intuizioni, drammi, conflitti, incomprensioni, desiderio vero di aiutare chi soffre. E si interroga non soltanto su quella matassa inestricabile che è la “malattia mentale”, ma anche sul significato della vita e della morte.

È, ad esempio, attratto in modo irresistibile dai suicidi, riusciti o falliti, da precipitazione. Per Milone, il suicidio non è (quasi) mai un gesto volontario, meditato in profondità, quasi fosse un atto filosofico e non è quindi in alcun modo una testimonianza della suprema libertà dell’uomo, quanto del suo soggiacere a forze che lo sovrastano.

Sullo sfondo delle storie di vita e di malattia narrate c'è Genova, una città antica, notturna, scabra, affascinante.

Il capitolo otto del libro è il più controverso. Tratta della necessità di legare le persone. Perché sì, dopo Pinel e Basaglia, i malati in crisi psichica acuta vengono ancora contenuti. E Milone si dichiara a favore della contenzione, utile, a suo avviso, in molte situazioni critiche. Per Milone, lungi dall'essere sempre un'azione violenta, contenere un malato in crisi è un gesto di cura, di attenzione, un esserci senza abbandonarlo al proprio destino. Superata la crisi - ci assicura l’autore - molti pazienti si dichiarano grati verso chi li ha legati.

La scrittura di Milone procede per frammenti, a tratti è aforistica. Mi ha richiamato alla memoria antichi autori latini: Marziale e Giovenale. Una prosa satirica, graffiante, epigrammatica. Ma dietro cui fa sempre capolino una sensibilità intensa e, per certi versi, ferita.