Kant e la filosofia come istanza critica. Kant assume il motto degli antichi SAPERE AUDE!, “ABBI IL CORAGGIO DI SERVIRTI DELLA TUA INTELLIGENZA”. La sua filosofia viene denominata criticismo per l’istanza antidogmatica e riflessiva che la caratterizza. Egli s’interroga sui motivi che impediscono alla metafisica di raggiungere un medesimo grado di certezza conoscitiva. Se sia possibile la metafisica come scienza è un quesito importante che si specifica ulteriormente nelle tre domande fondamentali: CHE COSA POSSO SAPERE?  CHE COSA DEVO FARE?  CHE COSA MI è LECITO SPERARE? Alla risposta a queste domande Kant ha dedicato tutta la vita con opere come LA CRITICA ALLA RAGION PURA, LA CRITICA ALLA RAGION PRATICA e LA CRITICA DEL GIUDIZIO. Kant esamina le condizioni che rendono possibile la conoscenza, l’agire etico politico e l’esperienza artistica. La filosofia non è una materia da imparare in modo meccanico e ripetitivo, ma un’attività di ricerca, e chi la vuole praticare non deve dare nulla per scontato bensì sottoporre ogni cosa al tribunale della ragione, a cominciare dalle stesse facoltà di ragionamento.

 

 

La filosofia come esercizio del pensiero critico. Kant nasce nel 1724 a Konigsberg, nella Prussia orientale. Egli conduce una vita schiva e riservata, tutta dedita all’insegnamento universitario, da cui traeva il sostentamento, e allo studio e alla scrittura.

 

 

 

Il tribunale della ragione.

Kant ritiene che la conoscenza scientifica (matematica e fisica) sia assolutamente certa, affidabile, necessaria e universale. Non così la metafisica: l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima, l’esistenza di un ordine del mondo. La metafisica gli appare come il campo di battaglia delle dispute filosofiche e teologiche che non hanno fatto progredire di un solo passo le conoscenze. Kant si propone nella critica della ragion pura, di analizzare le nostre possibilità conoscitive rispetto a tali problemi, adoperando un metodo nuovo, desunto dalle scienze. La metafora del tribunale della ragione, che deve tutelare la ragione nelle sue giuste pretese eliminando quelle prive di fondamento. Essendo la ragione contemporaneamente giudice e imputato di questo processo, la sola garanzia che il processo sia equo deriva dal fatto che la ragione non proceda in modo arbitrario, ma rispetti le leggi eterne e immutabili inscritte nella sua stessa natura. Si tratta di un compito che avrà un duplice esito: 1) negativo, in quanto determinerà i limiti dell’uso della ragione; 2) positivo, in quanto definirà l’uso legittimo della ragione.

 

 

 

 

 

I giudizi

Per rispondere alla domanda “che cosa posso conoscere?”, dobbiamo interrogarci su come siano costruiti i giudizi della matematica e della fisica. Una volta capito ciò potremo confrontarli con quelli della metafisica, coglierne la differenza e capire dove si annida l’errore di quest’ultima. La scienza è valida perché fondata su un metodo sicuro, mentre la metafisica si dibatte in disquisizioni inconcludenti ed è incerta perché priva di metodo. I giudizi, ossia le proposizioni della matematica e della fisica sono giudizi sintetici a priori. Le proposizioni della scienza sono dette giudizi perché costituite da un soggetto e un predicato. Tutto il sapere si costruisce in questo modo aggiungendo un predicato ad un soggetto. I giudizi sono la trama essenziale del conoscere. Kant si propone di ricercare se esista una forma di giudizio in grado di connettere concetti ed esperienza, ossia l’aspetto universale  necessario della conoscenza con quello concreto e innovativo. Egli considera scientifici solo i giudizi che riescono a sintetizzare i due suddetti aspetti del conoscere. Il filosofo analizza innanzi tutto il repertorio dei giudizi offerti dalla tradizione logica, che distingue in due grandi categorie: i giudizi analitici e i giudizi sintetici. I giudizi analitici sono quelli in cui il predicato è compreso nel soggetto, ad esempio “tutti i corpi sono estesi”, in cui essendo  l’estensione contenuta nel concetto di corporeità, basta scomporre il concetto di corpo per ritrovarvi l’estensione. Si tratta di giudizi rigorosi, ma a priori, nel senso che il loro contenuto non deriva dall’esperienza. Tali giudizi sono dotati dei caratteri della necessità e dell’universalità, ma sono privi di novità, poiché il predicato non aggiunge nulla di nuovo al concetto del soggetto. I giudizi sintetici sono quelli in cui il predicato offre un contenuto informativo nuovo, come nell’esempio “i corpi sono pesanti”, in cui il predicato “pesanti” ci fa conoscere una proprietà nuova del soggetto (“i corpi”). In questi giudizi, che sono derivati dall’esperienza, abbiamo un’estensione della conoscenza, ma non della garanzia della sua universalità e necessità, poiché sono giudizi che dipendono interamente dall’esperienza: essi sono, infatti, a posteriori.  Kant si dichiara insoddisfatto sia dei giudizi analitici a priori, sia di quelli sintetici a posteriori, perché entrambi sono unilaterali e dunque non validi dal punto di vista scientifico. Ipotizza un terzo tipo di giudizi, che definisce sintetici a priori. Tali giudizi sono possibili e presenti nella scienza newtoniana (modello indiscusso di verità scientifica per Kant), in cui il rigore matematico (necessità e universalità) si coniuga con un incremento della conoscenza derivante dall’esperienza (novità). L’attenzione del filosofo si concentra proprio su questi giudizi fecondi di novità, necessari e universali che costituiscono la trama del complesso tessuto della conoscenza scientifica. “tutto ciò che accade ha una causa”. Questo è un tipico esempio di giudizio sintetico a priori: sintetico, perché in esso il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto (novità); a priori, perché valendo comunque e per sempre, non può derivare dall’esperienza. Le proposizioni scientifiche sono tali in quanto basate sia sull’esperienza sia sull’a priori e, perciò sono al tempo stesso feconde di nuove conoscenze, ma anche necessarie e universali. La matematica e le scienze possono definirsi realmente conoscenze valide e proficue, il loro successo è assicurato, e lo scetticismo sconfitto. La proposizione matematica 7+5=12, di tipo sintetico a priori, è sempre necessariamente valida e, contemporaneamente, ci offre anche un incremento di conoscenza (novità) in quanto il risultato 12 è ottenuto non per via analitica (o a priori), bensì per via sintetica, aggiungendo appunto il numero 5 al numero 7. Cosa che risulta più evidente se si devono sommare numeri più complessi, il cui risultato non è intuibile a prima vista, ma deve essere ricercato con una procedura di calcolo.

 

 

 

     Il trascendentale.

Come sono possibili i giudizi sintetici a priori? Kant definisce trascendentale quest’interrogativo. Trascendentale è ogni conoscenza che si occupi, in generale, non tanto d’oggetti, quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo dev’essere possibile a priori. L’estetica trascendentale tratta le forme a priori della sensibilità: spazio e tempo. La logica trascendentale si suddivide, a sua volta in due sezioni: l’analitica tratta le categorie dell’intelletto e l’io penso, mentre la dialettica tratta le idee della ragione (dio, anima, mondo) considerandole solo pensabili, ma non conoscibili. Da questo discende che, essendo finalizzata all’analisi delle condizioni a priori della conoscenza, tutta la critica ha una funzione trascendentale, ossia è una teoria della possibilità a priori della conoscenza. Il trascendentale riguarda le forme a priori considerandole in funzione della costituzione dell’oggetto, che è nell’esperienza. Il concetto di trascendenza secondo Kant, si riferisce a qualcosa che è oltre il mondo sensibile, ad esempio Dio; mentre il trascendentale riguarda le condizioni a priori in base a cui possiamo stabilire una volta per tutte che cosa e come possiamo conoscere, naturalmente sempre all’interno dell’orizzonte dell’esperienza e non negli incerti spazi del soprasensibile. La critica di Kant non tende ad ampliare il sapere scientifico, ne è interessata a studiare gli oggetti delle scienze o della matematica, ma intende conseguire quella che possiamo chiamare una conoscenza di secondo livello: conoscere come funziona il sapere scientifico, quali sono le sue condizioni di possibilità a priori, e quindi procedere a una sua legittimazione trascendentale.

 

 

 

La sensibilità e le sue forme.

Kant ritiene che le facoltà conoscitive dell’uomo siano due: la sensibilità e l’intelletto. La sensibilità, che Kant tratta nell’estetica trascendentale, è il primo gradino della conoscenza. Con lavoro meticoloso e paziente, Kant si chiede quali siano le caratteristiche di questa forma di conoscenza. La sensibilità gli appare subito con una duplice fisionomia: essa è certamente passiva, in quanto riceve dall’esperienza esteriore i dati percettivi, ma è anche attiva, in quanto organizza il materiale che riceve dall’esterno attraverso due forme a priori: il tempo e lo spazio. Lo spazio e il tempo non sono derivabili dall’esperienza, ma sono le condizioni a priori in virtù delle quali è possibile la conoscenza degli oggetti. È mai possibile, infatti, immaginare di conoscere un oggetto qualsiasi senza collocarlo nello spazio e nel tempo? Naturalmente no. Lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori, che sta a fondamento d tutte le intuizioni della cose esterne. Quindi la sensibilità e l’intelletto costituiscono una coppia necessaria e indissociabile. Senza sensibilità nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche. Queste due facoltà o capacità non possono scambiarsi le funzioni. L’intelletto non può intuire nulla, né i sensi possono pensare nulla: la conoscenza non può scaturire se non dalla loro unione, anche se è bene che esse siano distinte e non confuse.

 

 

 

L’intelletto e le sue categorie

Le funzioni dell’intelletto sono esplicate mediante l’uso delle categorie. Queste sono concetti puri in virtù dei quali l’intelletto può ordinare e unificare i fenomeni sotto una comune rappresentazione, e sono creazioni spontanee dell’intelletto, finalizzate alla comprensione. Senza il pensiero non c’è alcuna conoscenza, ma solo un fascio disordinato di sensazioni incoerenti e indeterminate, senza il concetto di “sedia” non potrei neppure identificare come tale l’insieme di percezioni che la caratterizzano. Già Aristotele aveva individuato, nella sua opera dieci categorie; Kant non si mostra del tutto soddisfatto della classificazione aristotelica e osserva che Aristotele ha proceduto affrettatamente, inserendo anche dei modi di sensibilità pura come tempo, luogo e situazione. Pensare non è altro che giudicare, ossia attribuire un predicato ad un soggetto, per determinare le categorie basta riferirsi alla tavola dei giudizi: infatti, quanti sono i modi di giudicare (ossia di pensare), tante saranno le tipologie o schemi delle categorie. La tavola delle categorie kantiana si differenzia da quella aristotelica perché si riferisce alla conoscenza e non più all’essere. Essa risulta così composta di dodici concetti puri, raggruppati in quattro classi: quantità; qualità (dette classi matematiche, perché si riferiscono alla concettualizzazione quantitativa e qualitativa degli oggetti dell’intuizione); relazione; modalità (dette anche classi dinamiche, perché determinano il tipo di esistenza degli oggetti, sulla base della relazione che vi è tra di loro o del rapporto che esse hanno con il soggetto). Nella suddetta tavola si possono rinvenire tutte le forme di giudizi possibili. Se vogliamo costruire proposizioni circa il numero delle cose, non dobbiamo far altro che attingere alle categorie della quantità; se vogliamo affermare o negare qualcosa dobbiamo riferirci alla qualità; se vogliamo stabilire rapporti di causalità, di azione reciproca o sussistenza tra le cose, dobbiamo attingere alla relazione; e infine se dobbiamo riferirci alla modalità quando vogliamo esprimere giudizi circa la possibilità o meno di una cosa, la sua esistenza o inesistenza, necessità o contingenza. Il quadro delle categorie ci offre tutto il possibile repertorio di concetti puri di cui si serve l’intelletto nella sua attività conoscitiva.

 

 

 

L’io penso

Ora il problema gnoseologico fondamentale è quello di trovare il principio che fondi e giustifichi il processo di unificazione della conoscenza, sovrintendendo a ogni suo passaggio. Tale principio è identificato nell’io penso, suprema unità in base alla quale è possibile ogni ulteriore unificazione. Kant individua nella coscienza umana o autocoscienza tale suprema funzione unificatrice delle conoscenze, e la definisce “io penso”: il filosofo indica dunque l’attività sintetizzatrice fondamentale della coscienza umana (oggi diremmo “mente”) in virtù della quale le molteplici rappresentazioni che ci sono date nell’intuizione sensibile e i concetti costruiti dall’intelletto sono ricondotti a unità e fondati scientificamente. È in virtù dell’io penso che possiamo ricondurre a unità e attribuire a un soggetto tutto il processo conoscitivo, che altrimenti sarebbe frammentato nelle varie rappresentazioni. L’io penso è il centro unificatore di tutte le rappresentazioni ed è la garanzia suprema della scienza, l’unità fondatrice dell’oggettività della conoscenza. Tutto questo ragionamento viene definito da Kant deduzione trascendentale delle categorie, ossia giustificazione della pretesa delle categorie di avere un valore oggettivo. Le forme a priori e le categorie si fondano sull’unità della coscienza o io penso, che è il legislatore della natura, cosa che equivale ad ammettere che la natura per essere pensata deve sottostare alle regole del soggetto.

 

 

 

La logica delle parvenze, ovvero ciò che la ragione non può conoscere.

Per quanto l’intelletto sia attivo ed eserciti una funzione legislatrice nei confronti dei fenomeni, la sua azione è però sempre ristretta all’interno dei confini segnati dall’esperienza possibile. La ragione umana, però, non si accontenta di tale orizzonte finito e nella tentazione di fare a meno dell’esperienza, essa è portata a concepire un vasto e ambizioso disegno: Dio, l’anima e il mondo, che sono oggetti impossibili della ragione finita. Essi non possono essere conosciuti dall’uomo, che in tal modo registra il proprio limite costitutivo. E, tuttavia, è grazie a essi che l’uomo può aspirare a una sempre maggiore unità in tutti i campi, in quello fisico come in quello spirituale. Le idee della ragione, infatti, pur non avendo un ruolo costitutivo della conoscenza, hanno una funzione regolativi o ipotetica, che ci consente di pensare a tutti gli atti del nostro animo come a una sostanza spirituale (anima), di pensare alla variegata serie di fenomeni naturali come se mettessero capo a un principio unico definito mondo, e, infine di pensare a tutti gli oggetti, interni ed esterni a noi, come se dipendessero da un unico fondamento supremo, Dio, creatore e ordinatore del creato. Si tratta di una meravigliosa illusione, che amplia il nostro orizzonte e che gratifica la nostra esistenza, ma che dobbiamo rifiutare, perché la filosofia critica ci impone di rimanere nei limiti del mondo fenomenico e di accontentarci di tale ristretta esperienza conoscitiva, distinguendola rigorosamente dall’ampio orizzonte del pensare.