La vicenda è ambientata in una villa in Toscana, negli anni Trenta del secolo scorso. Il protagonista e io narrante, Silvio Baldeschi, è un uomo maturo e agiato. Coltiva ambizioni letterarie e già scrive articoli per alcune riviste. È insomma un uomo colto. La moglie, Leda (nell’intimità Dina), che egli ama, è un'anima piu semplice e il mondo della letteratura e dell'arte le è precluso, nonostante il marito si fidi molto del suo giudizio critico.
Tutte le sere i due fanno l'amore in modo appassionato, ma ciò sembra togliere all'uomo la forza creativa necessaria per scrivere. Convinto che le difficoltà che incontra davanti al foglio bianco derivino dalle fatiche del sesso, che lo svuotano completamente di energie, egli lo comunica alla moglie. Silvio le spiega che se non si concede un periodo di castità, d'altronde usuale tra i grandi scrittori, egli non riuscirà mai a scrivere quel racconto su di lei che le aveva promesso. Si rende conto che la sua proposta suoni ridicola, ma la moglie la accoglie con convinzione e lo incoraggia a perseguire la carriera di scrittore.
Assorbito totalmente dalla scrittura, inebriato dal ritrovato slancio creativo, Silvio non ha tempo e forza per altro. La moglie, pur amata, "era come respinta in una zona sospesa e distante". Silvio si sente felice, spensierato, entusiasta e forse un po’ egoista.
Non riuscendo a radersi da solo, tutti i giorni, verso mezzogiorno, Silvio di fa radere dal barbiere del borgo in cui è situata la villa. Antonio. Il barbiere è un uomo pingue, piuttosto comune, dai lineamenti grossolani, che ha una famiglia con cinque figli a carico. Silvio lo ritiene inadatto a suscitare il desiderio femminile, ma in paese il barbiere ha fama di essere un donnaiolo, un libertino, un erotomane.
Leda confessa al marito di essere stata molestata dall'uomo e gli chiede di licenziarlo. Silvio viene preso in turbine di emozioni contrastanti, ma tergiversa. In lui prevale la soddisfazione di aver assecondato il suo istinto letterario e soprattutto la riflessione lo porta a relativizzare le convenzioni sociali, i concetti di onore e di superiorità:
“Del resto io non sono geloso, o almeno non credo di esserlo. Ogni passione in me viene dissolta dagli acidi della riflessione: un modo come un altro di dominarla, distruggendone al tempo stesso la tirannide e la sofferenza.”
Leda, dopo un primo, breve matrimonio, aveva avuto, prima di conoscere Silvio, molti amanti. Ella mette al corrente il marito delle sue storie precedenti, riempiendo si sensualità i propri racconti. E Silvio, anziché provare gelosia, sente di essere strappato da quelle rivelazioni al suo senso di irrealtà.
“E quel giorno, come ebbe finito, mi parve di capire che c’era in lei una vitalità più forte di qualsiasi norma morale: alla quale io avevo bisogno di attingere anche se, come era il caso, avessi dovuto reprimere alcune reazioni della mia sensibilità.”
Terminato il suo racconto, che intitola L’amore coniugale, Silvio sottopone la sua opera ad un’analisi critica rigorosa e si rende conto di aver scritto un libro mediocre, privo di nerbo e di originalità. Avverte una sensazione pungente di fallimento:
“Io mi ribellavo soprattutto all’immagine di me stesso che il libro mi forniva. non volevo essere un velleitario, un incapace, un impotente. Eppure capivo che appunto perché mi ribellavo, questa immagine era vera.”
Successivamente Silvio assiste casualmente ad un amplesso panico, nei campi prospicienti la villa, della moglie con il barbiere, Antonio. Silvio entra così a far parte della nutrita schiera dei mariti traditi. Prova un dolore acuto e tuttavia la sua vocazione rimane quella di ragionare e soprattutto comprendere.
“Neppure il tradimento poteva giustificare l’abbandono.”Sulle prime Silvio prende la risoluzione di separarsi dalla moglie. Le scrive una lettera di commiato, ma mentre scrive prova un forte dolore e si abbandona al pianto:
“Mi accorgevo che ero attaccato a lei, che non mi importava nulla che mi avesse tradito e che alla fine non mi importava nulla neppure che ella si desse ad altri per amore e ame riserbasse il semplice affetto.”
Nello stesso tempo avverte la debolezza del proprio “carattere, fatto di impotenza, di morbosità e di egoismo”. Accetta questa triste verità su sé stesso.
Alberto Moravia (al secolo Alberto Picherle, Roma 1907-1990) scrive L’amore coniugale nel 1941 e questo romanzo breve vede la sua pubblicazione nel 1949 nel volume dal titolo L’amore coniugale e altri racconti. Come sempre in Moravia il sesso è usato come la chiave per comprendere la realtà. La donna ha un’esistenza più naturale dell’uomo, animata dall’istinto, un’innocenza che talvolta si muta in "crudeltà", “determinazione fredda e brutale, senza scrupoli di delicatezza”, assenza di “semplice buon gusto”. E in queste caratteristiche la donna manifesta il suo fascino e il suo mistero. Le idee di Moravia sulla donna sono note. Nell’Intervista sullo scrittore scomodo (a cura di Nello Ajello) pubblicata da Laterza nel 1978 affermò:
“Per un romanziere, la donna è interessante in quanto selvaggia, o almeno per metà selvaggia, cioè non totalmente integrata nella società. Lasciamo stare le ragioni storiche che hanno prodotto questo suo mezzo apartheid: sono d’altronde piuttosto evidenti. questo carattere semi-indomito, semi-selvaggio rende la donna, già di per sé, un personaggio drammatico.”
Il rapporto di coppia, la crisi del matrimonio borghese, il difficile rapporto uomo-donna, il tradimento e il fallimento esistenziale sono gli altri fondamentali temi affrontati da Moravia in questo notevole romanzo, dove lo scrittore romano mette in luce una grande capacità di introspezione psicologica. Con la rinuncia momentanea al sesso, in favore della creazione artistica, Moravia ci introduce al tema freudiano e dunque psicoanalitico della sublimazione. Interessanti sono anche le pagine, contenute all’interno del racconto, in cui autore ci suggerisce il metodo per analizzare e recensire correttamente un testo letterario.