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Solitario com'era, fin dal liceo
si era appartato, senza lasciarsi indurre a entrare in nessun tipo
di compagnia. Alle cosiddette gite scolastiche aveva sempre
partecipato solo di malavoglia, e il liceo l'aveva frequentato per
intero insieme agli altri, come ricordo, solo per necessità, dato
che esso, così ebbe a dire molte volte, si contrapponeva del tutto
alla sua natura e in particolare alla sua testa. Diceva di aver
dovuto impiegare un'alta percentuale delle sue energie per
difendersi dal liceo e dal suo meccanismo distruttivo, per
difendersi dalla scuola in sé, visto che la scuola si contrappone
alla natura di ogni singolo individuo ed è fatta solo per
disgregare la natura di ogni singolo individuo e per distruggerla e
in seguito poi per annientarla. Gli insegnanti e i professori li ha
sempre definiti soltanto manovali addetti a questa macchina
disgregatrice, distruttrice e annientatrice della natura, una
macchina che ogni anno annienta il novanta per cento dell'umanità
provvista di intelligenza. Saper leggere la scritta di un cartellone pubblicitario e le
nuvolette dei fumetti, ma non saper comprendere il lessico di un
poema, questa non è alfabetizzazione. Quando ci hanno messi al mondo, i nostri procreatori, ossia i
nostri genitori, si trovavano in uno stato di totale ignoranza e
volgarità, e dopo che siamo nati essi non riescono più a
sbrigarsela, tutti i loro tentativi di sbrigarsela con noi falliscono,
e così si arrendono presto, ma sempre troppo tardi, sempre soltanto
nel momento in cui ormai ci hanno da gran tempo distrutti. Questi professori altro non erano che persone malate, le quali
raggiungevano il vertice del loro stato morboso durante
l'insegnamento, e i professori di ginnasio sono sempre ottusi e
malati, o anche ottusi e malati, perché tutto ciò che
quotidianamente insegnano e rovesciano sul capo delle loro vittime
altro non è se non ottusità e malattia, e più precisamente un materiale
d'insegnamento marcito attraverso i secoli da intendersi come
malattia mentale, e avendo a che fare con un simile materiale è
ovvio che le facoltà intellettuali di ogni singolo allievo si
sentano soffocare. La vita è complessità. Nella società, come nell'individuo
tutto ciò che è specializzazione estrema, inaridisce, impoverisce.
Il matematico che conosce solo la matematica e l'economista solo
l'economia non possono capire la ricchezza, la molteplicità del
reale. Il sistema economico deve poggiare su numerosi pilastri e la
cultura sulla pluralità e il fermento dei valori e dei saperi. Lasciamo da parte gli insegnanti che fanno troppo malattia o
non fanno niente in classe: è fin troppo facile bollarli come
incapaci. Ma questi sono solo una minima parte. La maggior parte
degli insegnanti è semplicemente e diligentemente mediocre. E
questo è un gravissimo danno agli studenti, perché una persona
mediocre farà lezioni mediocri, e non otterrà mai né di
appassionare né di migliorare un ragazzo. L'istruzione è completa solo quando la teoria si confronta
con l'esperienza. Io sogno una scuola in cui si studiano
rigorosamente tutte le materie letterarie e scientifiche, ma poi si
fa anche sport, teatro, musica, e si imparano lavori manuali come
l'elettricista, il falegname, il cuoco, il giardiniere e ci si
confronta con il risultato. È solo coltivando una rosa reale che mi
rendo conto di quante nozioni devo conoscere e di quanta cura,
quanta vigilanza devo avere. È solo facendo le cose concrete e di
fronte ai risultati che imparo la responsabilità. Un insegnamento
che mi servirà qualsiasi mestiere, qualsiasi professione poi io
faccia. (C. Augias, Leggere) Nei Paesi dove si studia in media dodici anni c'è un livello
di reddito pro capite otto volte superiore a quello dei Paesi in cui
mediamente si studia la metà, vale a dire sei anni. In un recente sondaggio, due terzi delle università Usa hanno
dichiarato che, a parità di fattori, la conoscenza del greco o del
latino conferisce agli studenti una marcia in più. E con ciò
arriviamo alla molla più rilevante dietro al revival delle lingue
classiche: il loro apprendimento ha un elevato valore formativo.
Studiarle significa allenare non solo la memoria e l'attenzione per
il dettaglio, ma anche le capacità logiche e di ragionamento
critico. Si sviluppano in questo modo competenze generali sulle
quali appoggiare le molteplici competenze specifiche che si
acquisiscono in seguito o in parallelo. La riattivazione delle preconoscenze e dei prerequisiti riduce
notevolmente la quantità da studiare. Mi piacerebbe davvero proseguire la mia educazione puramente umana,
ma il sapere non ci rende né migliori né più felici. Ah, se fossimo
capaci di capire la coerenza di tutte le cose! Ma l'inizio e la fine di
tutte le scienze non sono forse avvolti di oscurità? O devo utilizzare
tutte queste facoltà, queste forze, questa intera vita per conoscere tale
specie d'insetto, per saper classificare tale pianta nel regno vegetale? La nostra attuale Università forma in tutto il mondo una proporzione
troppo grande di specialisti di discipline predeterminate, dunque
artificialmente circoscritte, mentre una gran parte delle attività
sociali, come lo stesso sviluppo della scienza, richiede uomini capaci di
un angolo visuale molto più largo e nello stesso tempo di una messa a
fuoco in profondità dei problemi, e richiede nuovi progressi che superino
i confini storici delle discipline. La finalità della nostra scuola è di insegnare a ripensare il
pensiero, a de-sapere ciò che si sa e a dubitare del proprio stesso
dubbio, il che è l'unico modo di cominciare a credere in qualcosa. So tutto ma non comprendo nulla. Occorre che il corpo insegnante si muova verso le postazioni più
avanzate del pericolo che sono costituite dall'incertezza permanente del
mondo. Il nostro vero studio è quello della condizione umana. C'è un'inadeguatezza sempre più ampia, profonda e grave tra
i nostri saperi disgiunti, frazionati, suddivisi in discipline da un
parte, e realtà o problemi sempre più polidisciplinari,
trasversali, multidimensionali, transnazionali, globali, planetari
dall'altra. [...] Di fatto l'iperspecializzazione impedisce di
vedere il globale (che frammenta in particelle) così come l'essenziale
(che dissolve). A scuola non si apprende che cosa dicono le opere, ma che cosa
dicono i critici. [...] Il sospetto è che la scuola elementare di oggi, pur
essendo perfetta come luogo di socializzazione e di ricreazione, sia
ben poco capace di trasmettere conoscenze e formare capacità, ivi
compresa la capacità di concentrarsi, di ordinare le idee, di
autovalutarsi, di mettere impegno in attività non immediatamente
gratificanti. [...] sotto l'occhio del maestro in procinto di interrogare, la
scolaresca che non sa la lezione fa una faccia estranea e
indifferente, a fiato sospeso e in un silenzio immoto, che per
nasconder la paura di ognuno, scopre quella di tutti. Ormai i ragazzi si buttano a capofitto in professioni che
hanno scelto nella culla. Che ne era stato dei tentativi a vuoto? Fra una persona che ha fatto l'università ma non legge, e una
con una scolarità inferiore ma che ha l'abitudine di leggere, la
seconda parla e scrive meglio. Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è
prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel
corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno
o più compagni [...] l'azione del bullo nei confronti della vittima
è compiuta in modo intenzionale e ripetuto. Le indiscriminate letture di anni
(tanto disapprovate da Ailo, ai tempi di Whale Bay), l'accumulo di
notizie e di informazioni raccolte, la sua curiosità onnivora e la
rapida assimilazione ora si rivelavano utili. [...] era stata mandata a una facoltà tecnica e non a un
normale corso universitario perché, le si diceva, doveva rendersi
utile, e [...] ora invece - così sosteneva -avrebbe dato qualunque
cosa per essersi farcita la testa esclusivamente, o prima di tutto,
di nozioni inutili. Vedevo riaffiorare nei bambini i
tratti somatici della mollezza e della vanità dei genitori, di
quella loro malattia morale fatta di noia e privilegio, su uno
sfondo di coazione agli stessi gesti. Bimbi dannati a fare i notai,
i commercialisti, gli ingegneri, gli avvocati, i medici; senza
sospettare nemmeno che, nel calcolo della sorte, esistessero anche
lo scenografo, la cantante, la ballerina, il fotografo, il poeta, la
pianista, l'arredatore, il comico, lo scienziato. Meno che mai il
don Giovanni o la grande seduttrice. È possibile concepire qualcosa
di più orribile del governo dei professori? Se serve a farti dire che ti sei
laureato, è un conto. Se deve invece servire a te e al tuo Paese,
il conto è un altro. Il nostro sistema non forma la classe
dirigente. Non prevede un percorso utile a dare nozioni e strumenti
agli italiani potenzialmente in grado di guidare il Paese. [...] gli studenti ritengono
l'università una serie di esami scollegati tra loro e dimenticano i
manuali che hanno studiato a poche settimane dall'esame. [...] prendiamoci quello che non
ci è mai stato dato: il nostro liceo, quello classico, quello
antico, con il suo greco e il suo latino, con le sue grammatiche
grosse così, con il suo riposante nozionismo becero e cieco, con le
poesie imparate a memoria, con quei corposi sillogismi aristotelici
di otto righe, con tutte le versioni del Pantodapòi Karpòi,
anche quelle di Isocrate, il liceo che doveva procurarci il "pàthei
màthos", la conoscenza attraverso la sofferenza. Un'onesta e fedele divulgazione
è la base di ogni seria cultura, perché nessuno può conoscere di
prima mano tutto ciò che sarebbe, anzi è necessario conoscere. La globalizzazione rende sempre
più indispensabile l'istituzione di un canone universale comune, l'elaborazione
di un nucleo di conoscenze e valori fondanti per tutti, al di là di
ogni frontiera di civiltà. Ma il processo di globalizzazione
favorisce e insieme ostacola la formazione di questa base condivisa,
mai necessaria come oggi; il vorticoso sovraffollarsi di
informazioni, stimoli e cambiamenti si autocancella di continuo,
mutila la memoria, disintegra il tessuto culturale comune. Proprio
il rimescolamento universale e le straordinarie innovazioni
tecnologiche richiederebbero, in una forma aggiornata e allargata
alle nuove conoscenze, il vecchio liceo universalistico, che da noi
le farraginose riforme degli ultimi anni si sono affannate a
smantellare. [...] mi buttai sui libri [...]
con la passione, il disordine e la voluttà che fruttano a chi
studia cento volte più che cento anni di scuola. Chi erano i miei allievi? Alcuni
di loro il genere di allievo che ero stato io alla loro età e che
si trova un po' in tutti gli istituti dove approdano i ragazzi e le
ragazze eliminati dai licei rispettabili. Molti erano ripetenti e
avevano scarsa stima di se stessi. Altri si sentivano semplicemente
tagliati fuori, esclusi dal sistema. Alcuni avevano perduto del
tutto il senso dello sforzo, della durata, della costrizione,
insomma dell'impegno; lasciavano semplicemente che la vita se ne
andasse, dedicandosi, a partire dagli anni ottanta, a un consumismo
sfrenato, non sapendo avvalersi di loro stessi e affidandosi solo
a ciò che era loro estraneo (la riflessione di Rousseau,
trasferita sul piano materiale, non li aveva lasciati indifferenti). Affinché avessero una
possibilità di farcela, occorreva reinsegnare loro il concetto
stesso di sforzo, restituire loro il piacere della solitudine e del
silenzio, e soprattutto il controllo del tempo, quindi della noia.
Pessimum magistrum memet ipsum habeo.
[...] abbiamo un esercito di giovani che, per il fatto di avere
un titolo di studio relativamente elevato (diploma o laurea),
aspirano a un posto di lavoro di qualità, ma per il fatto di essere
più ignoranti del giusto difficilmente riescono a trovare quello
che cercano. Un sistema di istruzione ipocritamente generoso illude
i giovani e ne innalza il livello di aspirazione, un mercato del
lavoro spietato li riporta alla realtà. [...] gli italiani
pretendono di lavorare in posti adeguati alla loro istruzione
formale, e raramente si chiedono se c'è una ragionevole
corrispondenza con la loro istruzione effettiva.
Per copiare davvero ci vuole intelligenza e rapidità, bisogna
saper fare connessioni, stabilire analogie, intravvedere soluzioni,
essere intuitivi. Copiare è come inventare. Meglio, è il secondo
stadio del missile dell'invenzione. L'esigenza di rimuovere la violenza e di portare nella scuola
la serietà, l'impegno, il rigore è unanimemente condivisa nel
paese. È sostenuta dai media, non senza enfasi retorica,
coerentemente con l'opzione per una scuola che educhi alla legalità
e alla cittadinanza. A scuola ero campione mondiale di copiatura: credo di non
avere rivali per tecniche e sofisticatezza. Questo dimostra che
anche chi copia ha speranza, perché anche così qualcosa si impara. L'escalation dei titoli di studio ci dà l'impressione di
vivere in una società sempre più colta, i cui membri sono in grado
di offrire prestazioni cognitive impensabili per l'ignorante
generazione che li ha preceduti. [...] Non sarà che la nostra
società, presa nel suo complesso, sta comprando un grado più
alto di istruzione soltanto per raggiungere vette più alte di
stupidità? Gli aspetti esteriori dell'educazione, quali voti, crediti e
diplomi, assumono un ruolo più importante di quelli sostanziali,
dal momento che la conquista di questi distintivi di merito è più
importante che imparare effettivamente qualcosa. [...] Il momento
didattico in sé e per sé si squalifica rispetto a quello,
socialmente più rilevante, della valutazione, la quale conta di
più per le sue conseguenze sociali che per il suo senso pedagogico. Non ho mai permesso che la scuola interferisse con la mia
educazione. M'affacciavo all'aula dove gli appollaiati su passavano il
bignami nello svaccamento dell'analfabetismo sereno. Da Petronio a Rabelais son passati secoli e secoli, più d'un
millennio, ma la sostanza non cambia: la scuola rincoglionisce! Il comportamento pretenzioso fortemente narcisista ostentato
da molti bambini e giovani è uno dei maggiori problemi pedagogici
degli ultimi decenni. Scarsa propensione alla fatica, ricerca del
divertimento, autocompassione e uno sfrenato consumismo
caratterizzano la vita di gran parte degli adolescenti. Ovviamente
alcol, droghe e sigarette sono endemici al processo di crescita e
contribuiscono a loro volta a una maggiore trascuratezza fisica e
morale. L'educazione non è altro che amore ed esempio. La scuola d'obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità
di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili,
stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori. Scolarizzare
una popolazione non è esattamente la stessa cosa che educarla e
migliorarne la mentalità e i comportamenti pubblici. Sembra anzi
(De Mauro lo segnala senza concluderne nulla) che le società il cui
sviluppo è incrementato dalla scolarizzazione rovinano poi
culturalmente chi esce dalla scuola. La scuola alfabetizza, la
società de-alfabetizza. Il 38% degli adulti in Italia hanno gravi
deficit di lettura, scrittura e calcolo. Non
accade quasi mai [...] che un insegnante presenti ai suoi studenti
"temi" scritti da lui o da altri adulti come esemplari per
avviare o approfondire un'attività pratica di redazione di testi. Procedendo
[...] di classe in classe, noi imparavamo a scansar gli spropositi;
ma quanto a ricchezza di lingua non si faceva quasi nessun acquisto,
e si continuava a rimpastare nel liceo, presso a poco, lo stesso
materiale linguistico che s'era usato nelle prime scuole, a
scrivere, cioè, un italiano misero, scolorito, rachitico, senza
forza e senza finezza, e senza alcun sentore di distinzione fra il
linguaggio accademico e il familiare, come lo scriverebbe un
francese o uno spagnolo che avesse studiato la nostra lingua sui
libri, quel tanto che è necessario per capire e farsi capire senza
far ridere. Bisogna
restaurare l'autorità che hanno conosciuto i nostri nonni a scuola?
Io penso che dobbiamo lasciarci il passato alle spalle e che le cose
che hanno funzionato bene un tempo forse saranno meno efficaci
adesso e in futuro. Penso che stia all'adulto affermarsi e imporre
le proprie regole secondo i propri valori, ma non in nome di una
moda sorpassata e che consiste nell'essere più severi con gli
studenti. Benché la mancanza di assiduità, di rispetto e molti
altri fattori che sono la causa di questa rimessa in discussione
siano spesso presenti all'interno degli istituti, restaurare di
nuovo l'autorità a cui erano abituati i nostri avi sarebbe la
soluzione giusta? Io non credo. I giovani d'oggi non accetterebbero
un'autorità di questo tipo. Non potrebbero neanche immaginarla.
Questa nuova generazione nella maggior parte dei casi non è
favorevole ai provvedimenti punitivi, una pressione costante e
inopportuna, ne ha già abbastanza così. C'è
un bisogno estremo di maestri; di buoni maestri. Sognavo di poter un giorno fondare una scuola in cui si
potesse apprendere senza annoiarsi, e si fosse stimolati a porre
dei problemi e a discuterli; una scuola in cui non si dovessero
sentire risposte non sollecitate a domande non poste; in cui non si
dovesse studiare al fine di superare gli esami. I maestri di cui parlo esprimono sempre rispetto per
l'autonomia dell'altro. Non intendono plasmarlo o migliorarlo, ma
solo permettergli di essere ciò che è. E in ciò si confermano
educatori autentici, vicini alla tradizione libertaria dei Godwin,
Tolstoj, Goodman, che si contrappone alla tentazione autoritaria
presente in ogni pedagogia: non educano al dovere essere (uomo pio,
buon cittadino, militante rivoluzionario), ma all'essere. Una
pedagogia che consiste soprattutto nell'ascoltare e nell'osservare.
Qualsiasi preoccupazione morale va finalizzata alla libertà degli
esseri umani e allo sviluppo delle loro potenzialità. Il sintagma "scuola pubblica" oggi serve più come affermazione
retorica che non come punto di riferimento politico. Siccome il
mondo in cui viviamo evolve, questo vale anche per il senso che si
attribuisce al concetto di "pubblico". Viviamo in un mondo in cui le
scuole pubbliche cedute in appalto [ad associazioni ed enti vari, le
cosiddette Charter Schools], l'educazione a distanza, le deduzioni
d'imposta per gli studi, e altri sviluppi recenti complicano la
nozione di "pubblico" e non rientrano negli schemi mentali con i
quali siamo cresciuti. È giunta quindi l'ora di
ripensare il senso attribuito al concetto di "pubblico". È giunto il
momento di adottare un concetto di "pubblico" molto più ampio di
quello tuttora in auge nella comunità educativa. Sembra ovvio che una scuola pubblica (che, in quanto
tale, deve essere finanziata dallo stato, ossia dall'ente pubblico)
debba rendere conto in modo obiettivo dei risultati che consegue,
debba fornire prove certe di quel che si apprende frequentandola.
È il contrappeso alla maggiore
libertà d'azione e alla sua autonomia. L'opinione pubblica, le
famiglie, le autorità locali, le aziende, il mondo della produzione
devono essere tenute al corrente di quanto succede nella scuola, dei
suoi programmi e dei risultati conseguiti da chi la frequenta. Va
detto subito che l'autovalutazione non è una soluzione convincente
perché le scuole non sono un servizio isolato, un'entità a sé
stante, non sono libere da qualsiasi dovere verso la comunità. Sono
un servizio pubblico, devono quindi essere comparate tra loro. Le
autorità che le finanziano devono poter sapere per esempio se la
scuola primaria di Gressoney è più o meno simile per qualità
dell'insegnamento a quella di Courmayeur o alla primaria De Amicis
di Cosenza. Si direbbe che la scuola, invece che essere il luogo dove
la conoscenza si trasmette e riceve una sua prima elaborazione, sia
il rifugio nel quale ci si rinchiude per essere
protetti dalla conoscenza, dal suo
fluire, dal suo accrescersi. Del resto, non si può dire neppure che
nella scuola la conoscenza sia di casa: se è vero che una delle
caratteristiche essenziali della conoscenza è quella di espandersi
continuamente e di stabilire ininterrottamente relazioni nuove tra
le sue diverse parti, la scuola è estranea tanto all'uno quanto
all'altro movimento. Non è il luogo della movimentazione della
conoscenza, ma quello in cui alcune conoscenze vengono trasmesse e
classificate. È, semmai, il
luogo in cui le conoscenze si sedentarizzano, stagionano e diventano
statiche. La scuola è un posto fatto così, la cosa più importante
che ci si può insegnare è questa verità profonda: che le cose
veramente importanti non si imparano a scuola. Strano, ma benché insegnasse ormai da anni, ogni volta
che doveva entrare in classe era preso dal panico. Ancora oggi
arrossiva, sudava, si metteva a tremare. I sogni ad occhi aperti, le
fantasticherie, ancora consumavano la maggior parte del suo tempo
libero. Un insegnamento scadente, una pedagogia di routine, uno
stile di istruzione che è, consapevolmente o meno, cinico nei suoi
obiettivi meramente utilitari, sono rovinosi. Distruggono la
speranza alle radici. Un insegnamento di cattiva qualità è, quasi
letteralmente, un assassinio e, metaforicamente, un peccato.
Immiserisce lo studente, riduce a grigia inanità la materia
insegnata. Insinua nella sensibilità del bambino o dell'adulto il
più corrosivo degli acidi, la noia, le esalazioni dell'ennui.
Un insegnamento morto, esercitato dalla mediocrità forse
inconsciamente vendicativa di pedagoghi frustrati, ha ucciso per
milioni di persone la matematica, la poesia, il pensiero logico.
[...] L'anti-insegnamento è statisticamente quasi la norma.
Insegnanti eccellenti, capaci di accendere un fuoco nelle anime
nascenti dei loro allievi sono forse più rari degli artisti virtuosi
o dei saggi. Fa quel che può. Quel che non può non fa. Da venerdì non vado più a scuola e l'unica cosa che mi
manca sono i compiti a casa. Egli soleva trattenersi presso la porta del college,
circondato da un gruppo di studenti che distraeva col suo spirito,
distogliendoli dallo studio, quando non addirittura incitandoli a
ribellarsi contro la disciplina del college. Il borghese è completamente pago delle sue cognizioni. L'educazione non può avvenire seguendo l'illusione
dell'autoformazione, ma solo grazie all'esistenza di almeno un
Altro: un professore, un insegnante, un maestro, un docente. Non
esiste autoformazione se non come fantasma narcisistico che rigetta
la Legge della castrazione. [...] Questo significa che, per
rinunciare a essere allievi, bisogna riconoscere di esserlo stati e
di avere avuto uno o più maestri. L'allievo che rigetta l'effetto di
formazione e di Scuola che lo ha plasmato, vive nel mito ipermoderno
dell'autogenerazione di se stesso, rifiuta la filiazione simbolica
che lo inscrive nell'Altro, si vorrebbe prometeicamente padrone del
fuoco dichiarandosi senza padri. Durante i miei nove anni alle scuole superiori non sono
riuscito a insegnare niente ai miei professori. Dove si troverà, diciamo fra tre anni, delle persone
istruite, se già ora si sente la penuria? Se non si rimedia in tempo
utile, saranno nuovamente dei tangheri e dei bestioni a diventare
dottori e consiglieri alla Corte. Penso proprio che non c’è mai
stato un tempo propizio allo studio come oggi, non solo perché ora
le arti sono così abbondantemente a disposizione di coloro che
vogliono impadronirsene, ma anche perché ne deriveranno grandi beni
e grandi onori. Coloro che oggi studiano saranno persone preziose:
se ti guardi in giro, ti rendi conto di quante, innumerevoli
funzioni attendono uomini istruiti nei prossimi dieci anni, mentre
ora se ne formano comunque pochi a questo scopo. Per una scuola di medicina così famosa, il livello di
istruzione era un disastro. [...] Ascoltare le lezioni diverse
volte, cercando di dare un ordine logico agli argomenti
dell'oratore, consultare i libri di testo per spiegare quello che
non era stato spiegato, rendeva evidentissimo quanto fossero
scadenti quelle lezioni. A. ha paura della scuola come della più gelida estraneità
(anche nel sonno sembra soffrirne). Al liceo il suo tema era sempre il migliore e talora il
docente lo leggeva per esempio, fra l'attenzione e lo stupore
generale: perché non solo tirava fuori, coem niente fosse, versi
dell'Eneide o di Racine o di Shakespeare o del Carducci o di Omero,
ma in greco eh, ma parlava dello Zola e del Balzac o di Schopen(h)auer,
del Sainte-Beuve o del Novalis o di qualunque altro dando a divedere
che li conosceva proprio di persona. La scuola non è frustrante per chi non vuole studiare. Lo
è molto di più per chi vorrebbe studiare veramente e anche, almeno
in parte, a modo suo. Una scuola che non preveda questo
autodidattismo naturale, istintivo, che non prenda sul serio la
“volontà di sapere”, di capire e di pensare che hanno sia gli
studenti che gli insegnanti (purché se ne accorgano!) è una scuola
che mente con se stessa, è una farsa. (A. Berardinelli, "La scuola è impossibile, ma prof e studenti non fatevi rubare la mente", Il Foglio, 3 giugno 2015) Colpisce il fatto che rispetto alla media OCSE,
contrariamente a quanto ci si poteva attendere, il deficit maggiore
si registra sulle competenze linguistiche e non su quelle
matematiche. Nelle regioni centrali e nordorientali chi ha
un'istruzione primaria ottiene un punteggio simile a quello degli
omologhi degli altri paesi OCSE. Impressionante anche il divario
italiano tra chi è in possesso di un titolo di studio universitario
(i laureati meridionali hanno un punteggio inferiore della media
italiana dei diplomati), con una penalizzazione quindi proprio di
chi dovrebbe essere più qualificato. Quand'anche un uomo possedesse tante stellette quanto un
albero di natale e si fosse laureato con il massimo dei voti, se
però a partire dal giorno della laurea avesse smesso di leggere
lasciando che il suo cervello si arrugginisse, sarà solo un
ignorante conclamato o lo diventerà presto. [...] quel libro esercitò su di me una profonda
impressione. Da quel giorno ho iniziato a leggere i romanzi russi e
i grandi scandinavi e olandesi, soprattutto là dove la traduzione
diventava per me accessibile. E così ci si forma (bildet
man sich). Questo modo di procedere è
particolarmente necessario nelle università di oggi, sia perché i
mass media dominano su
tutto esercitando uno stordimento diffuso, sia perché ormai nei
piani scolastici e nelle preparazioni professionali conseguite nelle
università - il nome "università" è detto a dispetto di tutto -
prevalgono sempre più le specializzazioni. Se prendiamo visone dei
lavori scientifici che vengono esibiti per la prova del dottorato di
ricerca, possiamo constatare che tutto si limita, in spaventosa
misura, a un ammassamento di specializzazioni. [...] lo specialismo
diventa un percorso che limita le esperienze complessive, la
personale capacità di giudicare e la Bildung
stessa. [Scuole] progettate e gestite per fornire non tanto la
cultura in sé ma le abilità necessarie per far carriera, e per
ottenere impieghi migliori, per parlar bene in pubblico e altre
pragmatiche ed efficienti performances. Perché lamentarsi che la scuola soffochi il genio?
È esattamente quello il suo
compito. Le scuole, quali che siano, continuano a rendermi
nervoso. La diffusione del sapere non può più aver luogo in nessun
campus del mondo, quelli ordinati, formattati una pagina dopo
l'altra, razionali all'antica, a imitazione dei campi dell'esercito
romano. In Italia e nell'Europa meridionale [...] l'organizzazione
accademica è l'ultimo baluardo del feudalesimo. Non è un presidente del Consiglio[...], non è una
maggioranza che il maestro deve rappresentare nel comune [...]; egli
è il solo e inestimabile rappresentante dei poeti e degli artisti,
dei filosofi e di tutti gli uomini che hanno fatto e sostengono
l'umanità. Deve assumersi la rappresentanza della cultura. Ma sarà meglio parlar chiaro ai giovani: una scuola
prevalentemente autogestita sarebbe dispersiva e inconcludente; essi
sono in via di formazione, non sono già formati. Esistono anche
autodidatti di doti eccezionali; ma questi non hanno bisogno di
scuola. Sono convinto che dedicarsi alla propria crescita
personale e a quella altrui sia la più nobile delle attività. Cari genitori, ricordatevi che non tutti gli individui
possono essere esperti di tutto. Ricordatevelo prima di giudicare i
voti dei vostri figli e la loro intelligenza. Nei dieci anni precedenti tutti volevano studiare in un
liceo, tanto che veniva definita "liceo" qualsiasi scuola, con lo
scopo di attrarre iscritti. Noi ci eravamo attrezzati, attivando
indirizzi alternativi e corsi speciali, quando già di licei ne
avevamo due, il classico e lo scientifico. Quest'anno è partita la
corsa agli istituti tecnici. Me lo ricordo il vecchio motivo di
quarant'anni fa, che oggi ritorna: "Finito il liceo, non hai niente
in mano". Certo che oggi, invece, con un diploma di "Tecnico
industriale sistema moda" conseguito a Pordenone, a diciannove anni
vai dove vuoi! Lasciamo stare. Né si dee chiamare vero filosofo colui che è amico di
sapienza per utilitade, sì come sono li legisti, [li] medici e quasi
tutti li religiosi, che non per sapere studiano, ma per acquistare
moneta o dignitade, e chi desse loro quello che acquistare
intendono, non sovrastarebbero a lo studio. Potremmo studiare prendendoci, per essere precisi, sei libertà.
(P. Mastrocola, La passione ribelle) Per un numero crescente di cittadini britannici e
americani la "cultura d'impresa" significa una vita di superlavoro,
ansia, isolamento. La competizione regna sovrana: anche i bambini
piccoli vengono forzati a competere tra loro con il risultato di
ammalarsi per questo. Nel 2007, la più vasta ricerca indipendente
sulla scuola primaria durata quarant'anni ha evidenziato livelli di
stress che sono schizzati alle stelle tra i bambini sottoposti a
test ininterrotti dalla scuola d'infanzia in poi. Gli autori
dell'inchiesta hanno espresso "grande preoccupazione" per questi
risultati. Nel 2008 un volantino commissionato dall'istituzione
benefica Mind, attiva nel settore della salute mentale, metteva in
guardia i bambini sui pericoli dello stress da esami, che vanno
dall'insonnia agli attacchi di panico, alla depressione e agli
impulsi suicidi. C'era scritto: NON CERCARE DI SFIDARE TE STESSO.
Perché permettiamo che i nostri bambini vengano trattati in questo
modo? Come ha fatto a diventare accettabile un'idiozia del genere? "Niente di più bello, di più felice che vedere delle
giovani menti aprirsi, seguire quei ragazzi mentre scoprono,
crescono, accolgono dentro di sé nuove dimensioni del sentire e si
vogliono mettere alla prova. Senza le limitazioni della scuoletta,
abbiamo potuto inventarci esercizi veri, dello spirito e del corpo,
esperienze, una disciplina interiore, insomma: il gioco del mondo". [...] saper insegnare è importante, ma imparare è
qualcosa che avviene anche indipendentemente e fuori dalla scuola.
Se chi insegna non impara a sua volta qualcosa nell'atto di
insegnare e da coloro a cui insegna, il processo educativo si blocca
e perde quella vitalità immediata di cui ha assoluto bisogno. Lo
stesso insegnante dovrebbe saper dosare, quando insegna, attività e
passività, comunicazione efficace e ascolto attento di coloro che ha
di fronte. Se non avviene il contatto personale di curiosità e di
fiducia fra insegnanti e studenti, se non si fonda il lavoro
necessario su una motivazione a compierlo, a scuola finisce per non
succedere nulla: o nient'altro che dissipazione, estraneità, noia. - [...] Ma, il latino, l’ha mai studiato? Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva
colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna
malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di
chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl'incerti
concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte
ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e
m'inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio
prima che giovane. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i
soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale,
abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano
sorti persino pensieri di suicidio. Non ebbi amici, non partecipai a
svaghi di sorta; non vidi nemmeno una sola volta Roma di sera. Mi
recavo all'università per il corso di giurisprudenza, ma senza
interessamento, senza essere nemmeno scolaro diligente, senza
presentarmi agli esami. Più volentieri mi chiudevo nelle biblioteche
[...]. La scuola secondaria ha un tale numero di studenti da
richiedere un numero molto elevato di insegnanti. Dato però che solo
poche persone sono davvero eccellenti, in qualunque campo, dobbiamo
renderci conto che gli insegnanti nella maggior parte dei casi sono
mediocri, o ottusi. Non è una critica alla professione, è solo
questione di aritmetica. Gli studenti si dividono semplicemente in deboli e forti.
I deboli sono coloro che manifestano delle difficoltà, i forti sono
quelli a cui la scuola non serve - almeno per come è concepita, dato
che a loro basta esercitare un talento. Se poi gli studenti forti
hanno una famiglia che considera la formazione un valore, arrivano
in aula già con un'etica del lavoro e spesso te li dimentichi: vanno
per conto proprio. Onde ho sperimentato in me stesso la falsità della
dottrina pedagogica che confina l'educazione a una prima parte della
vita (alla prefazione del libro) e alla verità della dottrina
contraria che concepisce la vita intera come continua educazione, e
il sapere come unità del sapere e dell'imparare. E quando si sa
senza poter più imparare, quando si è educati senza possibilità di
meglio educarsi, la vita si arresta e non si chiama più vita ma
morte. [...] ha superato ormai la massa critica il numero di
persone uscite da scuole superori e tuttavia semi-analfabete,
passate attraverso un sistema di istruzione a maglie troppo larghe,
poco selettivo, spesso restio, in nome di un malinteso principio di
uguaglianza, a praticare il rigore. Non ci sono modelli, fuori delle scuole, oggi, che
possano incoraggiare i giovani alla fatica dello studio non
finalizzato a qualche obiettivo pratico. "Studia che riuscirai nella
vita" sembra davvero un motto di altri tempi, ed è doloroso dirlo
per chi appartiene a una generazione che ha fatto dello studio una
forma di esistere. I titoli di studio e le qualifiche danno un’indicazione
molto debole delle reali competenze e abilità degli studenti e dei
lavoratori che li possiedono. Lo studio del latino e del greco, sento dire, sta andando
in disuso in Europa. Io non so che cosa richiedano le maniere e le
occupazioni [degli europei], ma sarebbe una pessima scelta seguirne
l'esempio. Il Collingwood degli ultimi tempi era un sostenitore
appassionato dell'istruzione familiare e riteneva che uno dei
peggiori crimini di Platone fosse stato di avere "impiantato nel
mondo europeo l'idea folle che l'istruzione andasse
professionalizzata". Aveva abbandonato gli studi prima di finire le superiori,
mi raccontò, per vivere la sua vita. Non aveva frequentato
l'università. Invece era andato a Londra, per farsi una cultura e
acquistare libri e abiti. Passava le giornate leggendo e andando a
teatro. Traduceva pièce dimenticate, francesi e belghe, appartenenti
al genere del théatre de boulevard. [...] l'università di massa non può che adeguarsi alla
cultura di massa, che oggi significa sempre più disaffezione alla
lettura e ai libri. Si prospetta un futuro imminente in cui i
laureati che non hanno mai letto per intero nessun capolavoro del
passato saranno la maggioranza. È senza dubbio la scuola - di cui il nostro secolo ha la
superstizione - a causare la crisi d'infantilismo di cui l'umanità
d'oggi presenta tutti i segni. Manca alla nostra società la solida
infrastruttura di analfabeti che fa le razze forti. Da bambino detestavo la scuola, quell'essere costretto ad
ascoltare passivamente insegnanti soporiferi. L’Italia non è tanto la nazione con la più bassa
percentuale di laureati quanto quella con la più alta percentuale di
laureati analfabeti. [...] in questo romanzo [McTeague
di Frank Norris, ndr] l'ineludibilità del destino si manifesta come
assoluta incapacità dei personaggi di evolversi, di adattarsi a un
sistema economico e di valori in cui ciò che conta non sono le cose
in sé, ma la loro simbolizzazione; non il potere, la conoscenza e il
denaro, ma i certificati, i diplomi, e le banconote. Sono sempre più convinto che si possa diventare
eccellenti filosofi, storici, filologi, giuristi o qualsiasi altra
cosa senza aver mai messo piede all'università e nemmeno al liceo. [...] rinnovai di fronte a quell'estraneo il segreto
giuramento di dedicarmi allo studio con serietà. Mi guardò commosso,
poi disse: "Non solo seriamente, figlio mio, soprattutto
appassionatamente. Chi non è appassionato, potrà al massimo fare il
maestro di scuola; dentro di noi dobbiamo prima sentire le cose per
poi poterci arrivare, ma sempre, sempre attraverso la passione". [...] istituzioni per adesso lasciate tranquille
dall'insurrezione digitale e quindi rimaste placide nel loro
letargo: prima fra tutte la scuola.
È pensabile che anche lì il problema sia la fissità, le
strutture permanenti, la scansione novecentesca dei tempi, degli
spazi e delle persone. Magari andrà avanti così ancora per decenni:
ma certo che il giorno in cui a qualcuno verrà in mente di rinnovare
un po' i locali, le prime cose che andranno al macero, dritte
dritte, saranno la classe, la materia, l'insegnante di una materia,
l'anno scolastico, l'esame. Strutture monolitiche che vanno contro
ogni inclinazione del Game. Fidatevi, andrà tutto al macero. Passare da una pedagogia che intimidisce a una pedagogia
che stimola. Studiare non significa frequentare necessariamente una
scuola o una facoltà. [...] Si tende a credere, anche per comodo
corporativismo e sindacalismo, che studiare significhi essere
presenti a scuola. La stanchezza nelle aule con il passare delle ore mi
faceva anzi al contrario diventare riottoso o arrabbiato. Era in
genere meno l'aria viziata e lo stare stipati degli studenti a
centinaia, quanto piuttosto la non partecipazione degli insegnanti
alla materia, che pure avrebbe dovuto essere la loro. Mai più ho
visto gente così inerte rispetto al proprio campo come quei
professori e docenti dell'università [...]. Dignitari che parevano
imbottiti di segatura, le cui voci mai una volta erano indotte, da
quello che commentavano, a una vibrazione di stupore [...], di
entusiasmo, di simpatia, di autointerrogazione, di venerazione, di
collera, di indignazione, di propria inadeguatezza, ma invece si
limitavano a biascicare, smozzicare, scandire [...] finché la
stanchezza dell'ascoltatore si ribaltava in irritazione. Non confondere mai il titolo di studio con
l'intelligenza, puoi avere un dottorato di ricerca ed essere un
idiota. L'università sviluppa tutti i doni umani, inclusa la
stupidità. La scuola tradizionale si concentra troppo sugli esami,
sul successo accademico degli studenti, sul curriculum e su altri
fattori che finiscono per produrre insegnanti e studenti esausti che
non apprezzano o potenziano il loro apprendimento. L'unica cosa che interferisce con il mio apprendimento è
la mia educazione. L'autoeducazione, credo fermamente, è l'unico tipo di
educazione che esista. Non puoi mai essere troppo vestito o troppo istruito. Gli uomini di genio sono incapaci di studiare in gioventù
perché sentono inconsciamente che bisogna imparare tutto in modo
diverso da come lo impara la massa. Il profitto degli studi
consiste nell'esser diventati migliori e più saggi.
Non si impara soltanto come studenti frequentanti, si
impara anche come autodidatti che cercano di capire, che leggono,
riflettono, discutono in situazione reale ciò che offre un
patrimonio culturale accumulato per secoli e millenni. [...] Oppure tacciono e studiano senza mai pensare ad altro; in questo gli studenti cinesi – ne ho avuti tanti – sono la prefigurazione del tempo che sarà, che già è: sono sempre tra i più bravi, ma sembrano del tutto indifferenti alla vita collettiva, alle speranze, ai sogni larghi della giovinezza. Devono correre, fare in fretta, obbedire e lavorare sodo: pragmatismo totale e risultati sicuri. "da un professore non c’è nulla da imparare che non si possa trovare nei libri. […] Non vedo ragione per cui dovremmo andare all’università piuttosto che in un qualunque altro luogo, o perché mai dovremmo darci pena riguardo alla preparazione o alla capacità del professore" (D. Hume) A vedere le numerose e svariate istituzioni destinate all'insegnamento e allo studio, e la grande folla di scolari e maestri, verrebbe da pensare che al genere umano stia estremamente a cuore comprendere le cose e conquistare la verità. Ma, anche qui, l'apparenza inganna. (A. Schopenhauer, L'arte di insultare) [...] in una nazione ossessionata dal culto del pezzo di carta e imperniata sul valore legale della laurea, paragonare il lavoro svolto dai supplenti laureandi a quello dei docenti standard non potrà che essere salutare. Si capirà una volta per tutte che la discriminante non è avere o meno una pergamena incorniciata e appesa al muro; la discriminante è sempre e solo aver studiato, e soprattutto continuare a farlo. (A. Gurrado, Assegnare supplenze ai laureandi al posto dei prof. no vax è un’ottima idea, "Il Foglio", 30 dicembre 2021) Se fossi stata protetta e incoraggiata sarei cresciuta come una bambina normale, ma non ho avuto la fortuna di avere nemmeno un insegnante illuminato. (F. Bosco, Mi dicevano che ero troppo sensibile) Quela che chiamo la mia filosofia dell'insegnamento è in effetti una filosofia dell'apprendimento. Deriva, con qualche modifica, da Platone. Prima che possa esserci l'apprendimento bisogna, io credo, che nel cuore dell'allieva vi sia un certo desiderio di verità, un certo fuoco. La vera allieva arde dal desiderio di sapere. Nell'insegnante riconosce, o percepisce, qualcuno che si è avvicinato più di lei alla verità. E lei desidera così tanto la verità incarnata nell'insegnante da esere disposta a bruciare la prorpia personalità precedente per reaggiungerla. Per parte sua, l'insegnante riconosce e incoraggia quel fuoco nell'allieva, e risponde ardendo di luce più intensa. Così i due assurgono insieme a un regno superiore. Per così dire. (J.M. Coetzee, Tempo d'estate)
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