SCUOLA & EDUCAZIONE |
Poiché insegnanti intransigenti mi rubarono la
gioventù. Il primo movente che dovrebbe spingerci a studiare è il
desiderio di accrescere l'eccellenza della nostra natura e di
rendere un essere intelligente ancora più intelligente. La cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto. Tutti gli uomini per loro stessa natura desiderano imparare. Io ho notato che, almeno a Lettere, quelli
che si laureano con maggiore ritardo sono spesso i
migliori [...]. L'essenziale non è quello che si sa, ma
quello che si è. Molte
lauree, molti diplomi, non fanno dell'Italia un paese di cultura. Erasmo trovava un modo efficace per
difendersi dagli ultimi maestri di Scolastica: si
addormentava sui banchi. L'Italia è il paese dei diplomi, delle
lauree, della cultura ridotta soltanto al
procacciamento e alla spasmodica difesa dell'impiego.
Tutto quello che ho per difendermi è
l'alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un
fucile. Lavoro in una società elettrica milanese
d'un lavoro totalmente diverso e lontano dalla mia
naturale curiosità. Il mio gran male è stato sempre
e sarà sempre uno: quello di desiderare e sognare,
invece di volere e fare. [...] Se non avessi addosso
la sifilide della laurea, potrei cavarmela forse
meglio. Ecco già i primi scolari seduti nel primo
vagone, pieni di sonno e d'ansia perché non sanno se
ciò che li aspetta a scuola non sia qualcosa di
orribile. Anche una scuola seria e coerente può
servire a poco finché le famiglie praticano e
sollecitano la massima permissività. Una
conseguenza, per cominciare dallinfanzia, sta
in quellindagine Ipsa dalla quale risulta che i
figli ditaliani hanno fama dessere più
maleducati degli altri, francesi, americani, greci,
inglesi o spagnoli. Poi, con il crescere, vengono
assolti e blanditi persino se pretendono
dessere insieme contestatori moralisti e
onnivori consumisti. Anche se una minoranza delle
ultime generazioni coltiva il rigore dello studio e
affronta la vita come res severa, prevale il
prolungamento estenuato delladolescenza. Basta
solo aggiungere che fra prove desame indulgenti
e famiglie negligenti lincultura è fenomeno di
massa, dalle scuole medie fino ai corsi universitari
che moltiplicano i disadattati con o senza laurea. Una volta Gianni Brera, parlando di uno
sportivo, un ciclista, notava che era nato e vissuto
in provincia: solo in provincia, scriveva, si
coltivano le grandi malinconie, il silenzio e la
solitudine indispensabili per riuscire in uno sport
così faticoso. Non è così anche per lo studio? La maggior parte dei giovani crede di
essere spontanea, mentre è soltanto maleducata e
grossolana. Il mio diploma da baccelliere non mente:
padrone di una ignoranza enciclopedica. Credo alla pedagogia repressiva. Con i ragazzi bisogna essere
duri. Molti candidati alla laurea in Filosofia debbono farsi aiutare
da un insegnante privato a scrivere una tesi, non per quanto
riguarda la conoscenza della materia o il merito scientifico, ma per
poter presentare un inglese che abbia un minimo di semplicità,
chiarezza e purezza. I miei colleghi della facoltà di legge spesso
non sanno dire se uno studente conosce o no il diritto a causa della
sua incapacità di esprimersi coerentemente sull'argomento in
discussione. Ci sono persone colte persino tra i
professori. Agli esami, gli sciocchi fanno domande cui
i saggi non sanno rispondere. La lezione magistrale è diventata inutile dopo l'invenzione
di Gutenberg. Le istituzioni da un lato proteggono e rassicurano, dall'altro
ci rubano a noi stessi, ci espropriano dell'esperienza che facciamo
di persona: la ignorano, la dichiarano inutile, non sanno che
farsene. Le istituzioni ci comunicano anonimamente che la realtà di
ciò che ognuno di noi è, di quello che ci succede, è irrilevante,
non conta. Come ogni altra istituzione, la scuola prescinde dagli
individui. Ma se c'è una cosa che conta per chi deve imparare e
studiare, è cominciare presto a fare i conti con quello che si è e
con quello che la vita è per ognuno, a qualunque età. Perciò il
vero e buon insegnante dovrebbe essere metà dentro e metà fuori la
scuola. Dovrebbe insegnare che la scuola ha il dovere di entrare in
rapporto con tutto ciò che avviene altrove, fuori. La scuola è un
luogo in cui ci si esercita. Ma esercitarsi a scoprire, immaginare,
usare la volontà e la memoria, essere responsabili, non si può
farlo per la scuola. Si deve farlo per qualcosa che è al di là
della scuola. L'insegnante dovrebbe far capire agli studenti che la
prima cosa da imparare è diventare autodidatti. Prima bisogna sapere il latino, e poi
bisogna dimenticarlo. Lo studio è sempre stato per me il
rimedio sovrano contro il disgusto della vita, e non
ho mai provato un dolore che un'ora di lettura non
sia riuscita a far svanire. Il più certo modo di celare agli altri i
confini del proprio sapere è di non trapassarli. Passare troppo tempo a studiare è
pigrizia. Se insegni, insegna anche a dubitare di
ciò che insegni. Nulla è più utile di quegli studi che
non hanno nessuna utilità. Gli uomini, mentre insegnano, imparano. L'esercizio fisico, anche quando è
obbligatorio, non fa male al corpo; ma la conoscenza
ottenuta per obbligo non rimane nella mente. Educa i ragazzi col gioco, così riuscirai
meglio a scoprire l'inclinazione. naturale. Non studiavo niente, e perciò imparavo
molto. Tutti i metodi gradevoli per insegnare ai
bambini le scienze sono falsi e assurdi, perché non
è questione di imparare la geografia o la geometria,
ma di abituarsi al lavoro, perciò alla noia. Tutto quello che può fare per noi l'università o qualsiasi
scuola superiore è sempre ciò che fu incominciato dalla scuola
elementare: insegnarci a leggere. Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna,
chi non sa insegnare amministra. Dottore in niente. Il primo movente che dovrebbe spingerci a
studiare è il desiderio di accrescere l'eccellenza
della nostra natura e di rendere un essere
intelligente ancor più intelligente. La stessa università non mira a formare
dei critici letterari o degli intellettuali
criticamente consapevoli, ma degli specialisti e dei
tecnici. Ecco perché i bravi artigiani scarseggiano mentre i cattivi diplomati e laureati, che poi non trovano un impiego adeguato al loro titolo, sono in aumento. Negli Usa (dove ho fatto ricerca per molti anni alle dipendenze della University of Washington) un bravo amministrativo, un tecnico capace, un fattorino puntuale è stimato (da tutti) di più di un mediocre dirigente. E là gli studenti chiedono alla loro Università un'ottima preparazione, non importa a quale costo (in denaro e duro studio), invece di un pezzo di carta che, nell'economia oramai globalizzata, è buono solo per scriverci su dall'altro lato. (G. Rispoli) Dalla
culla e non dalla scuola deriva l'eccellenza di qualunque ingegno
mai fusse. La
cultura [...] è organizzazione, disciplina del proprio io
interiore; è presa di possesso della propria personalità, e
conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a
comprendere il proprio valore storico, la propria funzione enlla
vita, i propri diritti, i propri doveri. Un pezzo
di carta in casa, fa sempre comodo, per la pulizia personale. Se i
professori non fanno che parlare di quello che loro hanno capito, di
cosa parlano i libri? Le frasi
destituite di senso hanno grande effetto su taluni giovani, i quali
chiedono alla vita una sola cosa: fare, con il cervello, la minor
fatica possibile. In subordine, avere un po' di quattrini in tasca. Ma la
laurea non la conseguii mai, perché non ne avevo alcun bisogno, e
poi mi sembrava superfluo comprarmi una tesi per duecento marchi e
mettermi a dissertare per un'ora e mezzo su qualche argomento
generale quale, ad esempio, la letteratura russa. Scrivere
molti libri non ha fine, e il molto studio affatica la carne. La
disciplina che si identifica con l'educazione delle facoltà
intellettuali, si identifica anche con la libertà. Entrando a scuola tremavo, uscendo da scuola piangevo. Andavo
a scuola come si va al patibolo, la mia decapitazione era sempre
soltanto rinviata, e questa era per me una tortura. Le scuole sono soltanto fabbriche di imbecillità e di
depravazione. È la scuola in sé, sosteneva mio nonno, che assassina il
bambino. Secondo l'idea del contadino, lo scolaro lo si frusta e lo si
deve frustare: che scolaro è mai, pensa, se non lo frustano? Se ora
gli dico che non ci frustano, per lui è un dispiacere. Non si è mai troppo vecchi per imparare. Lo studio del diritto rende gli uomini acuti, curiosi, abili,
pronti all'attacco, svelti nella difesa e pieni di risorse. I
giuristi si avvedono a distanza del malgoverno e fiutano
l'avvicinarsi della tirannia in ogni venticello infetto. Non scuola la diresti, ma sala di tortura: non vi si sente
altro che lo schiocco delle sferze, lo strepito delle verghe,
gemiti, singhiozzi e atroci minacce. Cos'altro possono impararvi i
bambini, se non a odiare la cultura? Una volta che quest'odio ha
messo radice nei teneri animi, anche da grandi detestano lo studio. Ciò che oggi scriviamo sulla lavagna, domani lo cancelleremo. L'educazione, ha spiegato il Presidente Shirley M. Tilghman,
non consiste tanto nell'acquisire specifiche conoscenze in questo o
in quel campo del sapere, ma nell'imparare gli strumenti
intellettuali necessari per distinguere la realtà
dall'immaginazione, saper porre domande difficili, saper osservare e
interpretare, elaborare ragionamenti coerenti, imparare ad ascoltare
le idee degli altri senza rinunciare alle proprie. Dei 20 milioni di italiani che leggono almeno un libro l'anno,
soltanto il 18 per cento lo acquista per motivi di lavoro e
aggiornamento professionale. In Spagna siamo al 59 per cento, in
Francia al 52, in Germania al 63. Dovremmo perciò incominciare a
chiederci, quando andiamo, per esempio, dal commercialista se sarà
veramente in grado di farci la dichiarazione dei redditi. Quanto
aggiornati sono i i professionisti, quelli che dovrebbero guidare
l'Italia nelle sfide globali? Pochissimi. La situazione è grave.
Non parliamo poi dei nostri insegnati: il 25 per cento non legge
nessun libro, nemmeno per svago. Eppure sono loro che formano i
ragazzi, toccherebbe a loro trasmettere la passione per la lettura e
gli strumenti per praticarla. I libri costituiscono un mezzo impagabile per allenare la
mente, arricchire il linguaggio, affinare le nostre capacità, anche
e soprattutto nelle cose pratiche, dalle dichiarazioni d'amore ai
colloqui di lavoro. Aggiungerei che qualsiasi libro è la chiave per
conoscere un'anima; anzi, più di una sola: almeno l'anima
dell'autore e quella del lettore suo "complice". Il dilettantismo degli esperti è il più penoso, la cosa
impressionante dei cosiddetti esperti è sempre il loro sconfinato
dilettantismo. Se le dico - avrebbe detto Konrad - che ho esaminato
a fondo ben duecento dissertazioni sull'udito. Neanche l'ombra di un
processo ideativo - avrebbe detto Konrad - solo ruminanti
accademici. I Bignami, i riassuntini per studenti svogliati, in America si
chiamano Cliff Notes. Li cita James Sallis, l'autore di Cypress
Grove Blues [...]. Sono un italiofono naturale. [...] Imparai il veneto quando
andai a scuola, a sei anni, perché i compagni di classe schernivano
il mio comico eloquio. [...] Sto parlando qui di una mia vecchia debolezza che è
quella di occuparmi a ore perse di cose che non capisco, non per
edificarmi una cultura organica, ma per puro divertimento: il
diletto incontaminato dei dilettanti. Preferisco orecchiare che
ascoltare, spiare dai buchi di serratura invece di spaziare sui
panorami vasti e solenni; preferisco rigirare tra le dita una
singola tessera invece di contemplare il mosaico nella sua interezza
[...] Lo studio universitario uccideva in noi ogni possibilità
creativa. "Guardatevi dai tipi silenziosi. Quelli assimilano
tutto". Educare gli studenti a confrontarsi con le strutture materiali
dei testi, ma anche al dialogo con i dati esistenziali che la
letteratura è capace di enucleare. Far capire, cioè, che le opere
letterarie parlano di noi, della vita, dell’amore, del dolore,
della morte. Cioè di quelle cose che riguardano ogni esistenza, a
un livello profondo, oltre al qui e ora della banalità consumistica
nella quale siamo immersi tutti i giorni. La lezione magistrale è diventata inutile dopo l'invenzione
di Gutenberg. Noi per tradizione e cultura ci ritroviamo ancora con l'idea
del "licenziato", del "laureato", di colui che
ha ottenuto un diploma con degli esami finali. Un'eredità che
arriva almeno dal Trecento. Gli esami finali e il titolo di studio
spesso danno di per sé una posizione sociale e culturale definita,
riconosciuta da tutti, degna di deferenza da parte degli altri.
Perciò l'importante è arrivare a quel titolo, non ciò che uno
realmente sa. I tentativi di creare bambini e adolescenti supercapaci
mediante stimolazioni ed educazioni intensive hanno prodotto poco o
nulla: tutt'al più, particolari sforzi educativi producono una
precocità transitoria che si riassorbe dopo la fine degli anni di
sperimentazione. Lo psicologo dell'Asl dice che i miei alunni hanno seri
disturbi comportamentali. Secondo la sua analisi sono disciplinati e
responsabili per colpa di un'educazione autorevole che ha represso i
loro istinti più creativi. Grande colpa va anche alla famiglia. Ha
chiesto al preside che alla classe venga assegnato un insegnante di
sostegno di estrazione sindacale e sessantottina. Ora sono più
tranquilla. Sanno tante cose, ma sono tutte sbagliate. Si impara quando c’è entusiasmo, quando c’è passione,
quando si pensa di poter fare la differenza; quindi piantiamola con
le reti accessibili a pochi privilegiati ("la futura classe
dirigente") e ritorniamo con entusiasmo e passione in aule
aperte a tutti. Troppa scuola fa male. Passare tante ore a scuola mette
inevitabilmente nella stanca condizione di non riuscire più a stare
con gli occhi sopra un libro: come si fa a studiare, con la testa
appesantita dall'interminabile mattinata piena di parole e brusii?
Resta soltanto la voglia di svuotarla, quella testa. E poi, il
proprio dovere di studente si compie già egregiamente restando
tanto tempo davanti agli insegnanti. Ascoltando (o fingendo di
ascoltare) quel che hanno da dire. La bulimia di ore a scuola
finisce insomma per scoraggiare, anzi azzerare, l'altro tempo
dell'istruzione: lo studio. L'impegno individuale a tu per tu con se
stessi. Copiare e fare copiare è un dovere, un’espressione di
quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide
il nostro destino. Passare il bigliettino al compagno in difficoltà
insegna a essere amici di chi ci sta a fianco. La lista delle prime 20 persone più ricche del mondo è fatta
quasi tutta di "dropout", ex ragazzi buttati fuori dalla
scuola superiore o dall'università. Parmi d’aver per lunghe
esperienze osservato, tale essere la condizione umana intorno alle
cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto
più risolutamente voglia discorrerne, e che all’incontro, la
moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento e
irresoluto il sentenziare. Penso che tra gli elementi che
hanno fatto di me uno scienziato di successo c'è stato anche il
fatto che il sistema educativo non sia riuscito a distruggere la mia
curiosità. Luca Blandino, professore di
filosofia al Liceo, sui cinquant'anni, alto, magro, calvissimo, ma
in compenso enormemente barbuto, era un uomo singolare, ben noto in
paese per le incredibili distrazioni di mente a cui andava soggetto.
Aggiogato per necessità e con triste rassegnazione
all'insegnamento, assorto di continuo nelle sue meditazioni, non si
curava più di nulla né di nessuno. [...] io non ero scappato dal
ginnasio per inettitudine, bensì per avversione. 1 | 2 | |
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